Il finanziamento del fondamentalismo islamico è l’aspetto più «oscuro» della lotta contro il terrore perché è quello che evoca le immagini più sconcertanti. Come dimenticare la telemaratona Saudita per finanziare le bombe suicide palestinesi durante la seconda Intifada, un’operazione che raccolse centinaia di milioni di dollari? I politici occidentali sono perfettamente consci che l’opinione pubblica trova raccapricciante l’idea che organizzazioni caritatevoli siano usate quali canali finanziari dal terrorismo. Ecco perché ogni volta che nei governi c’è un po’ di maretta, i ministri delle finanze lanciano nuove proposte per «decurtare» i soldi del terrore. Spesso, però, si tratta solo di parole. Pochi mesi fa, il cancelliere dello scacchiere britannico, Gordon Brown ha suggerito «restrizioni» nei confronti delle organizzazioni filantropiche islamiche, senza però specificarne la natura. La proposta è rimasta lettera morta. Ancor più spesso, legislazioni internazionali che potrebbero aiutare a penetrare il labirinto della finanza del terrore vengono rigettate per paura di danneggiare i paradisi fiscali ubicati nei propri paesi. Nel 2001, durante una riunione dei ministri delle finanze europei a Nizza, fu lo stesso Brown a bocciare la proposta di armonizzazare il sistema fiscale e la legislazione sul riciclaggio del denaro sporco all’interno dell’Unione Europea. Quella proposta avrebbe permesso di monitorare i flussi finanziari dai paradisi fiscali del vecchio continente inclusi i fondi del terrore inviati dopo l’11 Settembre dalle Isole del Canale britannico alla moschea milanese di Via Quaranta. […]
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