Nell’introduzione ai cataloghi delle mostre L’arte nel segno della Risurrezione allestite in occasione del Convegno ecclesiale di Verona, il segretario generale della Conferenza episcopale italiana monsignor Giuseppe Betori osservava tra l’altro: «Siamo sempre più convinti che il linguaggio dell’arte non è semplicemente accessorio rispetto al centro dell’esperienza cristiana». Ragionando ora a bocce ferme sull’eredità consegnata dal meeting scaligero alla Chiesa e alla società, una conferma si profila con evidenza: tra fede e arte il dialogo non solo è possibile ma doveroso. «I due ambiti conservano un rapporto forte: attraverso i secoli l’arte si è fatta espressione della testimonianza di fede. Noi italiani – sottolinea don Stefano Russo, direttore dell’Ufficio per i beni culturali della Cei – ne abbiamo conferma percorrendo città e campagne: il Paese è disseminato di capolavori suscitati dalla fede. Verona ha ribadito che l’intesa tra i due mondi deve continuare. Non bisogna sottrarsi alla fatica di questo dialogo».
L’artista di oggi in che misura è pronto ad impegnarsi per rendere feconda l’intesa?
«In passato esisteva connaturalità tra artisti e Chiesa perché dalla Chiesa veniva una committenza forte. Oggi l’opera d’arte è spesso espressione individuale dell’autore. Una committenza che torni ad essere propositiva è importante».
Lei intende segnalare l’urgenza di un moderno mecenatismo di matrice ecclesiale?
«Andiamo con ordine. Affrontiamo ad esempio il capitolo degli adeguamenti liturgici e delle nuove chiese. Spesso il giudizio su di esse è molto severo e in certi casi non si può non condividere la critica. Però ci sono segnali positivi che lasciano ben sperare. La Cei da tempo promuove iniziative volte ad elevarne il livello qualitativo. Il Servizio nazionale per l’edilizia di culto, oggi diretto da don Giuseppe Russo, ha riattivato progetti pilota che vogliono essere uno stimolo perchè l’edificazione di una chies a sia il frutto di un lavoro di équipe, un gioco di squadra dove operino in sintonia architetto, artista, liturgista. […]
Difendere i beni culturali comporta oneri rilevanti. La sicurezza costa, alcune chiese ricorrono al ticket di ingresso. C’è chi condivide, chi obietta, chi protesta.
«Manutenzione, sicurezza e fruizione dei nostri edifici di culto impongono molta cura, ma per fortuna la pratica dell’ingresso a pagamento nelle chiese è meno diffusa di quanto si pensi. In linea di principio la chiesa nasce e vive come luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini e di incontro della comunità in preghiera, e come tale deve essere aperta a tutti senza limitazioni, se non quelle dovute alla sicurezza dei beni custoditi».
Non sarebbe sufficiente confidare sulla sensibilità e sull’impegno dei credenti?
«Forte è il senso di appartenenza delle comunità locali rispetto agli edifici di culto e ai loro beni artistici, ma contare solo sull’azione del volontariato può risultare utopistico. Parliamo di un patrimonio di dimensioni talmente vaste che non sempre è possibile trovare risposte univoche alle esigenze della sua gestione. Ho presente ad esempio il caso non raro di parrocchie dell’Appennino con una bassa densità demografica ma con un elevatissimo numero di chiese. Non è facile trovare modi efficaci per la loro conservazione e fruizione. Al tempo stesso l’esperienza di molti Musei diocesani ci fa constatare una crescente attenzione intorno ai beni culturali ecclesiastici che diventano sempre più strumento di incontro con e per gente di ogni convinzione, estrazione sociale, cultura e appartenenza religiosa».
L’intervista completa è raggiungibile sul sito di Avvenire
Alla fine sono convinto che l’unica eredita’ che lascera’ il cristianesimo saranno soltanto le chiese con le opere d’arte in esse contenute,che si trasformeranno mano mano in musei, gia’ adesso sono moltissime le chiese che vengono chiuse al culto, per mancanza di fedeli e o sacerdoti, spero di riuscire un giorno ad essere testimone di questo.
Secondo me don Russo dovrebbe fare un po’ piu’ mente locale anche ad opere d’arte quali quelle di Giovan Antonio Bazzi (il Sodoma) e ad esempio agli affreschi che dipinse nell’abazia di Monteoliveto (credo sia in provincia di Siena) per capire meglio quale fosse a volte il rapporto tra artista e committente, in molti casi quest’ultimo, per l’appunto, rappresentato dalla chiesa.
E’ pur vero che un approccio solo razionale, che escluda una certa emotivita’ alla vista e quasi “contemplazione” di certe opere d’arte a me personalmente risulta difficile sul momento, ma poi, ci rifletto, penso alla ns. storia, all’evoluzione della ns. capacita’ di pensiero e quindi anche un “Giudizio Universale” ci possa stare e sono contento che qualcuno si sia dato da fare per dipingerlo cosi’ com’e’.
Sieti matti, oggi e’ il secolo XXI, capito opere d’arte contemporaneee abbiamo bisogno, molti sono ridicole opere antiche senza nessun valore, acendosa97 o Carman007.
Che poi la maggior parte degli artisti fosse gay è solo un particolare irrilevante. D’altra parte anche la maggior parte dei preti è gay 🙂
Ma questo “nuovo mecenatismo” chi dovrebbe pagarlo?
Fatemi indovinare…….
“…. Ho presente ad esempio il caso non raro di parrocchie dell’Appennino con una bassa densità demografica ma con un elevatissimo numero di chiese. Non è facile trovare modi efficaci per la loro conservazione e fruizione. ”
Ho in mente una piccola chiesa in pietra tra prati e boschi di castagni…posso comprarla e trasformarla nel mio rifugio x i weekend? Sul campanile ci piazzo il telescopio e la parabolica, la cripta è perfetta x vino e salami….
Se viene sconsacrata credo che potresti comprarla davvero… sarebbe davvero affascinante riadattare una chiesa in una villetta, era un’idea che venne anche a me tempo fa
Esistono chiese sconsacrate che sono state adibite ad altri usi. Ce ne sono nella mia città. Per quale motivo le abbiano sconsacrate non lo so, boh!