Su Evene.fr è stata pubblicata un’intervista ad André Comte-Sponville, autore del recente libro “L’esprit de l’atheisme”, nel quale si parla di un’esistenza senza Dio e della spiritualità senza fede. Un’intervista lunga e interessante che tratta molte questioni, dalla morale atea all’immanenza.
Comte-Sponville e la spiritualità senza fede
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qualcuno che sa il francese potrebbe tradurlo e metterlo sul sito o su qualche blog?
Spiritualità senza fede
Intervista ad ANDRÉ COMTE-SPONVILLE
Filosofo, André Comte-Sponville ci racconta, nel suo ultimo libro “Lo spirito dell’ateismo”, una esistenza senza Dio e la sua esperienza della spiritualità. Occasione per una conversazione sulla morale, sull’amore e sulla disperazione e per un dialogo con Spinoza, Kant, Nietzsche, Marx…
“Lo spirito dell’ateismo” è scritto molto chiaramente, in uno stile fluido, un po’ alla maniera di Marcel Conche. Lo si vuol rendere popolare?
Tutto è cominciato ben prima di Marcel Conche! Tutti gli autori che mi piacciono scrivono chiaramente: I Greci, certamente, ma anche Montaigne, Cartesio, Pascal, Diderot, Marx, Nietzsche… Althusser, che è stato anche mio maestro e mio amico, scrive altrettanto chiaramente di Marcel Conche. L’inverso è vero per tutti i filosofi oscuri o astrusi, come Derrida. L’uomo era affascinante; ma dopo dieci pagine io sapevo che questo tipo non mi sarebbe mai interessato. Aveva dal talento, ma io non sopporto il suo manierismo, non più di quanto io sopporti quello di Lacan, che rasenta la disonestà intellettuale. Lo stile è l’uomo; quando lon stile è oscuro bisogna già preoccuparsi. Detto ciò, io non parlerei di renderlo popolare, poiché io non faccio alcuno sforzo di traduzione per rendere accessibile la filosofia. Cartesio o Pascal non hanno reso popolare la filosofia; essi hanno solo scritto con chiarezza. Io appartengo a quella tradizione di filosofi che scrivono quanto più semplicemente è possibile. Questo non è voler rendere popolare; è onestà intellettuale.
In questo libro, lei contrappone spesso il discorso e l’esperienza considerando che le parole sono raramente all’altezza dei fatti.
E’ vero. Ma anche l’inverso è vero: i fatti non arrivano sempre all’altezza delle parole. Tutto dipende da cosa si tratta. Si dà il caso che il mio ultimo libro, soprattutto nella terza parte, parli di spiritualità. Cos’è la spiritualità? La vita dello spirito, specialmente nel suo rapporto con l’infinito, con l’eternità e con l’assoluto. La spiritualità si occupa delle stesse cose di cui si occupa la metafisica. Ma la metafisica è un lavoro del pensiero che si fa con parole, ragionamenti, concetti. La spiritualità trae vantaggio dall’esperienza: si nutre di sensazioni, di emozioni, silenzi. La prima è speculazione; la seconda contemplazione. Io non faccio preferenze tra le due cose, ma non si può chiedere al discorso di sostituire qualcosa che non si può vivere se non nel silenzio, e viceversa. Parlare d’amore non è mai stato sufficiente per innamorarsi o amare, parlare di cibo non è mai servito a sfamarsi, ecc. L’inverso, ribadisco, è anch’esso vero. Essere innamorato o goloso, non è mai stato sufficiente a parlare bene di amore o di gastronomia.
L’ateismo è soprattutto un aspetto dell’immanente?
Sì. Ma per l’ateo tutto è immanente. La religione è essa stessa un aspetto dell’immanente, que viene scambiata illusoriamente per una rivelazione del trascendente. In fondo, essere “immanentista” è pensare che non ci sia altro che il Tutto. Dio, essendo trascendente, vale a dire “al di fuori del Tutto”, non è niente. Lo spirito non esiste che all’interno di questa immanenza. Lo spirito, per me che sono un materialista, è un cervello umano in funzione, o, in un senso un po’ hegeliano, l’insieme di ciò che i cervelli umani nel loro funzionamento hanno prodotto nei secoli.
Tuttavia, se Dio è morto, la concezione giudeo-cristiana dell’uomo, cioè la morale (conseguenza del libero arbitrio) si è estinta anch’essa. Come conciliare in definitiva la morale e l’ateismo?
Il mio libro verte sulla spiritualità, per nulla sulla morale. Ho mostrato, in alcuni libri precedenti, che non vi è morale assoluta senza libero arbitrio, che non c’è il libero arbitrio, e che ogni morale ritenuta assoluta è dunque illusoria. Su questo punto, mi sento abbastanza vicino al mio amico Michel Onfray, o per meglio dire è lui che è vicino a me (ho pubblicato molto prima di lui). Ma il fatto che non c’è una morale assoluta, non significa che non esiste un senso morale! Essere relativo, non significa non essere nulla! Come Spinoza, Marx e Freud, io penso che la morale sia un’illusione necessaria, che è vitale trasmetterla ai nostri bambini. Althusser scrive che “Solo una concezione ideologica della società ha potuto immaginare una società senza ideologie”; si può dire allo stesso modo che solo una concezione illusoria dell’essere umano ha potuto progettare un essere umano senza illusioni. Demistificare la morale non vuol dire annullarla, vuol dire liberarsi dalle illusioni che ci si faceva su di essa. Essa non ne risulta sminuita. O, nel caso presente, la morale giudeo-cristiana mi sembrava una delle più belle. E’ stato l’errore fondamentale di Nietzsche come di Onfray oggi, quello di averla voluta distruggere. Non c’è bisogno di credere in Dio per essere più sensibili al cristo dei vangeli che le alle sciocchezze di Nietzsche sul superuomo, l’eterno ripetersi della storia o il “magnifico bruto biondo”!
Ma l’amore, per esempio, resta un concetto legato alla metafisica giudeo-cristiana. Tuttavia lei l’esalta abbondantemente?
Si amava molto prima di Mosè o di Gesù! Che c’entra la religione? Non occorre attendere di sapere se Dio esiste per chiedersi se si amano i propri figli. L’amore che io ho per i miei figli è altrettanto reale dell’erezione che ho quando desidero una donna. L’illusione consiste nel credere che io desideri una donna perché è bella. Spinoza insegna che io non la desidero perché è bella, ma la trovo bella perché la desidero. E’ quel che io chiamo relativismo. Demistificare l’amore non è annullarlo; è pensarlo nella sua sbalorditiva verità: non è il valore dell’oggetto che lo fa amare, ma è il desiderio che dà valore all’oggetto. C’è dell’illusione in ogni amore, ma ciò non vuol dire che esso non esista. Se togliete dall’uomo ciò che è illusorio, voi togliete tutto ciò che è umano.
Allo stesso modo, lei ama profondamente la verità; ciò non è in contrasto col relativismo di cui lei parla?
Io sono relativista per quanto riguarda i valori, in quanto ogni valore è relativo all’amore che si ha per esso. In compenso, io non sono affatto relativista sulla verità. Il fatto che io e lei siamo qui, in questo momento, è una verità universale, eterna, assoluta. La maggior parte della gente, certamente, non ne sa niente, ma nessuno può negare tale verità senza mentireb o ingannarsi. Anche su questo Nietzsche s’inganna: non si possono mettere sullo stesso piano il vero e il bene, la verità e i valori. Ogni valore è relativo al desiderio; nessuna verità lo è. Chi dicesse “Non è perché questa proposizione è vera che io la conosco, ma è perché la conosco che mi sembra vera”, dimostrerebbe semplicemente di non capire cosa sia la verità.
E’ questo che giustifica il carattere favorevole del suo libro nei confronti delle religioni e degli uomini di fede?
Il mio libro non è così favorevole come lei dice. E’ un libro di lotta, ma non contro la religione: contro l’oscurantismo, il fanatismo e la superstizione. E un libro di pace, nei confronti di tutti gli spiriti aperti e tolleranti.
Ci parli del concetto di “gaia disperazione”…
Ne parlo più a lungo nel mio “Trattato della disperazione della beatitudine”. Io penso che Pascal, Kant e Kierkegaard avessero ragione nel dire che un ateo lucido e coerente non può sfuggire alla disperazione. Ogni speranza, per l’ateo, finisce su quello che André Gide chiamava “il fondo buio della morte”. Tutte le nostre speranze finiscono contro un fondo di disperazione, che fa parte della condizione umana. In compenso, io credo che essi si sbaglino quando considerano che la disperazione è necessariamente l’infelicità. Perché la speranza non è la felicità, tutt’altro! Non si spera che in ciò che non si ha. Sperare di essere felici significa non esserlo. Come disse Spinoza, “non c’è speranza senza timore, né timore senza speranza”. Quando sei nella speranza, sei nell’angoscia, quindi non sei felice. La speranza non è la felicità; la disperazione, nel senso che io do alla parola, non è infelicità. Ciò che io mostro, appoggiandomi agli stoici, Spinoza e alla tradizione buddista, è che la felicità è indissociabile da una certa disperazione. Se il saggio è senza timore, egli è quindi senza speranza. La disperazione, come io la intendo, non è la tristezza; è il non sperare in nulla. Finché si spera di essere felici, non lo si è. Quando si è felici non si ha più motivo di sperare. Questa saggezza della “gaia disperazione” (strizzata d’occhio alla “gaia scienza” di Nietzsche) spinge la gente a comprendere che si tratta di sperare un po’ meno e di agire un po’ di più.
Il suo libro potrebbe riassumersi in una specie di spiritualità senza fede?
Sì. La spiritualità è ciò che resta della fede quando la si è persa. Si può fare un parallelo tra la spiritualità evocata in questo libro e le tre virtù teologali della tradizione cristiana: fede, speranza e carità. La spiritualità senza Dio che io propongo ha più a che fare con la spiritualità che con la fede, e con l’amore più che con la speranza. Essa non è il credere in un Essere trascendente, ma un attaccamento a certi valori che abbiamo ricevuto e che abbiamo il compito di trasmettere. E’ una spiritualità dell’amore piuttosto che della speranza, poiché, se non c’è niente dopo la morte, appare questo fondo di disperazione, che non è una ragione per smettere d’amare. Infine, spiritualità dell’immanenza o “sentimento oceanico”, come lo chiamò Freud, che non è l’incontro con un “Altro Tutto”, ma l’immersione nello “Stesso Tutto”, non è un salto al di là dell’Essere, ma una maniera di essere all’interno del Tutto. E’ un’esperienza di pienezza, di semplicità, di unità, di eternità… L’enunciato più giusto, in Occidente, resta il libro quinto dell'”Etica” di Spinoza: “Noi sentiamo e sperimentiamo che siamo eterni”… E’ a questa esperienza che è consacrato il terzo capitolo del mio libro. Noi siamo già nel Regno: l’eternità è adesso.
Intervista di Thomas Yadan per Evene.fr
Riletto e corretto da André Comte-Sponville – Gennaio 2007
Traduzione di RazionalMENTE.net – 24 Gennaio 2007
Merci beaucoup, Raz.
grazie mille Razy
Caspita che efficienza!
Grazie della traduzione, RazionalMente.
Io non sono d’accordo sul fatto che il Cristo dei Vangeli sia più affascinante dell’oltre-uomo di Nietzsche, certo entrambi sono iperbolici e se presi alla lettera e trasformati in ideologia oltremodo pericolosi, ma in Nietzsche c’è il germe di un concetto fondamentale, tipico della post-modernità, quello del TRANS-UMANISMO, dell’andare al di là dei valori fondati sulla mera realtà biologica dell’uomo; il concetto dell’uomo che diventa scultore e artista di sé stesso, che si modella in forme che trascendono gli schemi della antropologia tradizionale costretta entro insuperabili limiti biologici. In definitiva, ritengo che l’ateismo di Comte-Sponville sia troppo conservatore e accomodante nei confronti dei valori legati alla tradizione giudaico-cristiana e più, in generale, troppo ossequioso verso l’Esistente. Io preferisco Michel Onfray.
Ho dovuto cercare qualche parola nel dizionario, ma leggo molto bene il francese. Verso la fine ho avuto un problema per il termine fidelité che ho tradotto con spiritualità, non c’è un termine italiano corrispondente.
Non vi ci abituate, eh!! Io sono pigrissimo!! 🙂
grazie per la traduzione – io sono traduttore e anche a me la traduzione di “fidelité” sfugge.
Ho appena terminato di leggere il “Trattato di ateologia” di Onfray e francamente l’ho trovato lucidissimo e molto netto. Per esprimere un giudizio esaustivo sul libro di Comte-Sponville dovrei leggerlo: sono d’accordo che i “credini” non hanno il monopolio del cuore e dei sentimenti in generale.
Vorrei volare più in alto. Più in alto per l’immensa commozione che mi da osservare un cielo pieno di stelle,un uragano che spazza la terra così piena di vita ,di animali ,alberi e fiori ,ognuno con la sua fisionomia ,ognuno con la sua fisiologia guadagnata attraverso millenni di evoluzione e di crescita. Vorrei volare più in alto per potermi meravigliare del funzionamento delle mie mani,del mio cervello,dei miei recettori,delle milioni di reazioni chimiche che mi consentono senza che io gridi al miracolo,di vivere ,gioire,pensare,formulare,amare,soffrire e ridere. Vorrei volare più in alto per cancellare tutte quelle dottrine che sviliscono il mio pensiero che vola in alto con credenze puerili,dogmatiche ,sciocche,violente e classiste. Vorrei e lo faccio e non mi meraviglio se altri demandano ad una dottrina prefabbricata il piacere di godere dei regali della madre Natura. Io non dico che ho il dono del raziocinio perché offenderei chi ha la fede che loro considerano un dono ed io una grave menomazione .Perciò vorrei leggere questo libro che sarà scritto molto meglio di come saprei fare io ma che si avvicina molto al mio modesto pensiero. Dino Licci