Il funerale dell’embrione lombardo

Il funerale dell’embrione, chiamiamolo Ugo, sarà a spese della pubblica amministrazione nel caso i genitori si rifiutino di dargli degna sepoltura. La madre di Ugo, d’altra parte, non ci pensa nemmeno ad accompagnarlo al cimitero visto che proprio lei è l’assassina, anche se non sarà punita perché ha abortito entro le cinque settimane previste dalla legge 194. Ecco il capolavoro varato all’unanimità dal consiglio regionale della Lombardia, che obbliga gli ospedali a seppellire gli embrioni, compresi quelli provenienti da un aborto sotto i 5 mesi. Tutti d’accordo, anche i consiglieri del centrosinistra che minimizzano, in fondo già oggi i feti possono essere sepolti, «cambierà poco», dicono. Il fatto che adesso la sepoltura sia diventata un obbligo non fa sussultare gli esponenti della maggioranza, sedotta dagli imperativi della Chiesa sulla «sacralità della famiglia». Sacro il vincolo matrimoniale, sacro il concepito prima della nascita e di conseguenza criminale chi pratica l’aborto. Esulta infatti il Movimento per la vita di fronte a un regolamento «atteso da anni» che «restituisce al feto dignità di persona». Devastante l’impatto simbolico di questa norma, definita da chi l’ha proposta «rivoluzionaria», e che è passata in sordina, liscia come un provvedimento per il traffico urbano. A parte la sua dubbia validità giuridica, la norma è aberrante non solo perché introduce uno status di diritto per il feto lombardo (la Lega chiede scusa alla Santa Sede per non aver invitato una sua delegazione al dibattito) in una ridicola regionalizzazione dei temi etici, ma perché offende la donna, ne viola la privacy e accampa pretese su una parte del suo corpo. «Perversione ideologica senza limiti», la definisce la Rosa nel Pugno, che chiede l’intervento di governo e magistratura. È la «dittatura dell’embrione», osserva Carlo Flamigni del comitato di bioetica. Ma a far inorridire è l’insensibilità verso i vivi, l’immaginazione perversa che sovrappone il corpo di un bambino a un grumo di cellule. Un bambino equiparato a un «rifiuto speciale», termine medico per definire il feto, a un essere che per delibera regionale ha ottenuto un’anima e che, ordina il provvedimento, sarà buttato in una fossa comune come le vittime dei genocidi. Un incubo.

L’articolo di Mariuccia Ciotta è stato pubblicato sul sito del Manifesto

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