La terza via di Giordano Bruno

«Di Roma, li 19 febraro 1600 […] Giovedì fu abbrugiato vivo in Campo di Fiore quel frate di san Domenico, da Nolla, eretico pertinace, con la lingua in giova per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltar né confortatori né altri. Sendo stato dodici anni in prigione al S. Officio, dal quale fu un’altra volta liberato».
È una delle scarsissime testimonianze dell’epoca che ci descrivono il rogo di Giordano Bruno. Il filosofo venne arso vivo in piazza Campo de’ Fiori il 17 febbraio dell’anno santo 1600. A Roma è Papa dal 1592 – e lo sarà fino al 1605 – Clemente VIII, il fiorentino Aldobrandini, un pontefice che unisce a una rigorosa pietà controriformistica, testimoniata anche dall’intensa attività repressiva, un senso della misura politica che lo ha appena spinto, nel 1598, a riconoscere come re di Francia Enrico IV di Borbone, e con lui, sia pur con non poche difficoltà, l’editto di Nantes, cioè l’editto di tolleranza del calvinismo in Francia. […]
A Roma le esecuzioni capitali sono un evento normale, abituale se non proprio quotidiano, un evento a cui la gente si reca come a uno spettacolo. […] Qui, fin dalla metà del Cinquecento, gli eretici condannati dovevano sottoporsi all’autodafé, il famoso atto di fede, cioè una pubblica abiura. I condannati dovevano presentarsi in pubblico, rivestiti di un abito penitenziale, detto «abitello», e recitare una formula di abiura. Solo dopo l’abiura formale dei loro errori avrebbero ascoltato la condanna emanata dal tribunale. Non tutti coloro che erano condannati per eresia venivano condannati a morte (nei periodi di più dura repressione la percentuale arrivò fino al 20%). Quelli che lo erano – eretici impenitenti o relapsi (cioè ricaduti nell’errore) anche se pentiti, o anche altri casi considerati particolarmente gravi – venivano rilasciati, cioè consegnati al braccio secolare perché si occupasse dell’esecuzione. In teoria, infatti, la Chiesa non poteva spargere sangue; di qui l’ipocrita formula adoperata nel caso del rilascio al braccio secolare, che fu usata anche nel caso di Bruno: «come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro»…
Ma chi era Giordano Bruno? Era indubitabilmente un filosofo di fama europea, ben consapevole del valore eversivo del suo pensiero. […] Secondo alcuni studiosi – Corsano ma anche Garin e Luigi Firpo, il dottissimo editore dei testi processuali di Bruno – tra i progetti di Bruno era anche un progetto politico religioso volto a instaurare in Europa una pace religiosa fondata sulla riduzione dell’Europa a una sola religione. Ma quale doveva essere quella religione?
Per Bruno, che allora aveva trovato rifugio nella Germania protestante, questa religione non poteva essere il protestantesimo. Se mai per un momento egli davvero pensò ad attuare i suoi progetti politici sotto l’ombrello riformato, troppe erano le ragioni filosofiche e teologiche della sua ostilità di fondo ai luterani e ai calvinisti […] Dunque, non poteva essere che sotto l’ombrello del cattolicesimo, un cattolicesimo che poco però aveva a che fare con quello esistente: un cattolicesimo riformato, in un’ottica politica legata non allo scontro confessionale ma alla pacificazione politica, come nell’ideologia della «terza via» nel conflitto tra protestanti e cattolici. […]
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davide

è il sogno di tutti coloro che mettono l’uomo prima della religione: il relativismo. Come affermava Protagora:”L’uomo è misura di tutte le cose”

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