I vescovi e il concordato

Quest’anno sarà anche il sessantesimo del voto all’Assemblea costituente che, grazie in particolare alla convergenza del Pci con la Dc, “costituzionalizzò”, il 25 marzo 1947, la forma concordataria, come modo per regolare le relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica, “ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Gli anniversari di febbraio – l’11 febbraio per il trattato e il concordato firmati nel 1929 e il 18 per la revisione del 1984 – sono un’occasione per fare il punto e rilanciare lo spirito e la sostanza di questo quadro. Le relazioni tra l’Italia e la Santa Sede sono tradizionalmente buone, anzi, “eccellenti”. Lo ha ribadito, qualche mese fa, il 20 novembre, la visita del presidente Napolitano a Benedetto XVI. In quell’occasione, rilanciata negli scambi d’auguri a Capodanno, è stato confermato non solo un quadro incontestabile di buoni rapporti, ma anche, si può dire, un impegno nuovo. Perché di fronte alle nuove sfide è il momento di un nuovo slancio. Ecco il punto e l’impegno: attivare “circuiti virtuosi” sulla nuova agenda di questo inizio di secolo, con l’attenzione alle vere esigenze delle persone concrete, “guardando anche – come ha ribadito Napolitano in Vaticano – a una comune missione educativa là dove sia ferito e lacerto il tessuto della coesione sociale, il senso delle istituzioni e della legalità, il costume civico, l’ordine morale”. In questo quadro, nell’impegno alla “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e per il bene del paese”, scritto negli accordi del 1984 e solennemente ribadito dal papa e dal presidente nel loro recente incontro, molto si può fare, per fare crescere davvero il Paese. Guardare insieme nel concreto e in avanti – in particolare sulle delicate e cruciali questioni della vita, della famiglia, dell’educazione non a caso a suo tempo evocate da Napolitano – significa non attardarsi in quelle ricorrenti polemiche sulla “laicità”, che periodicamente ritornano, con evidenti scopi di immediata cucina politica, tendendo a delegittimare l’interlocutore, con una sorta di obiezione e pressione previa, per cui non avrebbe diritto ad esprimersi. Il dibattito invece – in particolare su queste frontiere nuove e decisive – deve essere il più approfondito possibile. La Costituzione e gli accordi del 1984 da questo punto di vista sono assolutamente espliciti e rappresentano un punto di riferimento preciso. Affermare i valori e i principi coinvolti nelle scelte legislative di questi anni, che incidono sulla vita e sulla concezione dell’uomo ed esprimere un giudizio non ambiguo, da un lato è dovere della Chiesa, dall’altro è un contributo allo sviluppo della democrazia. Sollecita la coscienza di chi ascolta, rimettendo l’adesione ad un atto di libertà, che implica sempre l’assunzione di una responsabilità morale, prima ancora che politica e sociale. Una grande ricchezza per tutti.

Nota settimanale apparsa sl sito dell’Agenzia SIR – Servizio Informazione Religiosa

Un commento

Silent

Gran parte della dottrina non d’accordo sulla costituzionalizzazione della accordo 18 Febbraio 1984. L’articolo 7 della costituzione rinvia ai Patti Lateranensi ( Concordato e Trattato ). Con l’Accordo dell’84 il Concordato ( che regolamentava i rapporti tra Stato e Chiesa ) è stato in grandissima parte abrogato e sostituito dal nuovo Accordo.

Sicchè oggi solo il Trattato è costituzionalizzato ( dato l’esplicito rinvio dell’art. 7 ai patti del Laterano ), gli Accordi dell’84 sono una normale fonte ordinaria.

Da questo dato però, parte della dottrina ( una buona parte ma non tutta ) che ha elaborato l’atipicità della l.121/85 ( la legge di esecuzione degli accordi ), ha sostenuto che la nuova “costituzionalizzazione” non avviene più attraverso l’art. 7.

Secondo questi studiosi l’Accordo ha valenza di legge costituzionale ( dal lato passivo ) in quanto la materia la materia religiosa attiene ai “Principi Supremi dell’ordinamento Costituzionale”. Formula al quanto vaga che sembra però essere stata accolta dalla Corte Costituzionale

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