Un liberale contro il Concordato

[…] E’ di tutta evidenza che nel Parlamento non esiste la maggioranza necessaria ad abrogare il Concordato per revisione costituzionale; è altrettanto evidente che nel mondo cattolico tacciono (ma non mancano) opinioni favorevoli a superare il sistema concordatario per mutuo consenso. Però se si vuole abbattere i vecchi steccati e progettare il futuro, non si comprende perché il programma del partito futuro debba trasmettere alla nuova generazione l’ipoteca stipulata da Mussolini nel 1929; fatta propria da Togliatti nel 1947 con quell’articolo 7 che fu definito da Croce «un errore logico e uno scandalo giuridico»; e rinnovata nel 1984 da Craxi con un testo che ha rimosso le tracce dello Stato autoritario ma non ha potuto rimuovere i compromessi delle intese privilegiate. A che cosa serva oggi il sistema concordatario lo si vede di fronte all’attivismo della Conferenza episcopale, con effetti politici abbastanza paradossali. Radicali e socialisti, abitualmente anticoncordatari, criticano l’attivismo vaticano in nome del principio concordatario della reciproca indipendenza fra Stato e Chiesa: ma a differenza del Concordato autoritario del 1929 che vietava alle organizzazioni cattoliche l’azione politica, il Concordato democratico del 1984 sancisce soltanto un criterio di mutuo rispetto, troppo vago per offrire appigli giuridici a chi si illudesse di cercarli. Viceversa, mentre gli anticoncordatari si appellano invano al Concordato, una critica frontale del sistema concordatario viene dai teocon all’italiana: si è letto di recente in un’intervista di Marcello Pera che il Concordato svilisce la Chiesa in quanto la riduce dal magistero spirituale al «potere politico che tratta e contratta». Se dunque si vuole pensare al futuro dei rapporti fra Stato e Chiesa nel solco della Costituzione, è all’articolo 8 e non all’articolo 7 che conviene affidarsi: non i due poteri che trattano e contrattano, ma l’eguale libertà di tutte le religioni nel pluralismo delle fedi e nella laicità dello Stato. Prevedo che questa opinione mi costerà gli addebiti di essere un vecchio liberale laicista, tre addebiti di cui farei fatica a liberarmi. Ma se sarò chiamato a discolparmi produrrò a difesa un discorso del 1986 dove si legge: «Abbiamo salutato con soddisfazione il superamento del Concordato del 1929. Nel tramonto di questo, diventano sempre più importanti le norme veramente basali e dinamiche dell’articolo 8 della Costituzione… è pensabile un’evoluzione che si faccia sempre meno privilegiaria, meno politica, meno corporativa». È il discorso all’Archiginnasio di Giuseppe Dossetti, l’estensore dell’articolo sette.

L’articolo di Valerio Zanone è stato pubblicato sul sito della Stampa

Per doverosa memoria, ricordiamo i sei senatori di nomina regia che nel 1929 votarono contro l’approvazione dei Patti Lateranensi: Luigi Albertini, Alberto Bergamini, Benedetto Croce, Emanuele Paternò, Francesco Ruffini, Tito Sinibaldi.

8 commenti

Maurizio

Pera una volta era un anticlericale di ferro. Leggendo il libro “siamo alla frutta”, del radicale Michele De Lucia, dedicato al confronto delle citazioni di Pera ieri e oggi, si resta di sasso.

Bobbi

Mi butterei in politica solo per riuscire ad abolire il concordato.
(anche se so che finirei impiccata sotto un ponte di Londra…..)

Fra

Non sapevo di questa involuzione di Pera…qualcuno può darmi maggiori informazioni riguardanti il passato illuminato di tale essere insulso?

Lucifero1972

Fra, ti consiglio il libro citato da Maurizio “SIAMO ALLA FRUTTA” di DE LUCIA MICHELE, edizioni KAOS. Non dovresti avere difficoltà a trovarlo.

raphael

Martedì 20 Febbraio 2007 sul messaggero

di DANIELE MENOZZI*

Patti Lateranensi hanno segnato l’11 febbraio 1929 una data periodizzante nella storia dei rapporti tra chiesa e stato in Italia. La costruzione dell’unità nazionale era infatti avvenuta in aspro contrasto con il papato romano, che, dopo aver perso nel 1860-61 territori detenuti da circa un millennio, nel 1870 era stato costretto a ritirarsi entro le mura leonine in seguito alla proclamazione di Roma capitale del novo regno. Ma la ragione del conflitto non stava solo nella perdita di una sovranità territoriale che Pio IX ed i suoi successori giudicavano indispensabile alla libertà di esercizio del ministero apostolico. Altrettanto grave appariva ai loro occhi che quel mutamento si fosse verificato sotto l’egida di un governo che realizzava un ordinamento politico di tipo liberale, costituzionale, laico, separatista. In tal modo si palesava che la “rivoluzione” – lo scardinamento della tradizionale società cristiana iniziato nel 1789 a Parigi – non si arrestava: era arrivata in Italia, anzi persino a Roma, con tutta la carica distruttiva che la cultura cattolica del tempo attribuiva alla “moderna civiltà”. Il nuovo ordinamento non poteva perciò essere riconosciuto: esso era in opposizione a quell’organizzazione della vita collettiva che la chiesa da tempo indicava come modello ideale. Seguì, tra l’altro, con il ”non expedit“ l’imposizione ai cattolici italiani di non occuparsi di politica e anche se lentamente le grandi trasformazioni sociali del paese misero il laicato credente in grado di tutelare anche sul piano politico – ad esempio tramite il partito di don Sturzo – gli interessi ecclesiastici, soltanto in seguito all’avvento del fascismo la frattura apertasi con l’unificazione nazionale si sarebbe sanata. Allora, alla base dell’incontro tra stato e chiesa, non ci fu solo l’interesse di Mussolini ad acquisire prestigio internazionale e consenso interno. Vi era anche la consapevolezza della chiesa che si era davanti ad un regime che si poneva in antitesi a quei valori della modernità (libertà civili e politiche, democrazia, laicità, ecc.) che la “rivoluzione” aveva portato in Italia nell’Ottocento. Al di là delle singole misure e dei privilegi che stato e chiesa si scambiavano reciprocamente, al fondo dell’accordo del 1929 stava la “reazione” – comune a chiesa e fascismo – contro una visione “moderna” della convivenza civile. Non a caso Pio XI acclamò i Patti come l’atto che poneva salutarmente fine in Italia ai “disordinamenti liberali”. Proprio per questa ragione si pose all’indomani del crollo del regime e della nascita della Repubblica il problema della loro compatibilità con il nuovo assetto democratico dello stato.E’ noto che Pio XII volle che i rappresentanti della DC s’impegnassero per inserire i Patti nella nuova Costituzione ed è nota l’accondiscendenza (forte era il timore per la fine della “pace religiosa” nel paese) mostrata, soprattutto dal PCI, alle loro richieste. Ma si previde un meccanismo di revisione. Dopo diversi infruttuosi tentativi, nel 1984 si giunse alla stipula del nuovo concordato. E’ indubbio che il nuovo testo è aperto in diversi punti ai principi pluralistici della modernità. In esso sono tuttavia restati ampi privilegi per l’istituzione ecclesiastica (ad esempio in materia di insegnamento, di assistenza, di finanziamento). Inoltre fin dall’inizio la CEI ha rivendicato che in alcune materie non trattate (matrimonio e famiglia) era disponibile ad intese ulteriori, rivendicando peraltro l’autorità di fissarne i principii direttivi. Ma i dubbi che solleva anche il nuovo accordo si situano altrove. Storicamente la chiesa in età contemporanea si è dotata dello strumento concordatario – a partire da quello con Napoleone del 1801 – con uno scopo ben preciso: finita la società cristiana, occorreva garantirsi in quel dato contesto le migliori condizioni giuridiche, per poter operare al fine di restaurare le basi cristiane della convivenza civile, ponendo così fine agli istituti moderni nati dalla Rivoluzione francese. Anche nel testo del 1984, pur con tutte le sue aperture, diversi indizi mostrano che a questa prospettiva, da parte ecclesiastica, non si è ancora rinunciato.
* Docente di storia contemporanea
alla Normale di Pisa

Marja

finita la società cristiana, occorreva garantirsi in quel dato contesto le migliori condizioni giuridiche, per poter operare al fine di restaurare le basi cristiane della convivenza civile, ponendo così fine agli istituti moderni nati dalla Rivoluzione francese.
————infatti è proprio questo lo spirito del concordato, lo spirito con cui sta operando la chiesa nella nostra società…

Il Filosofo Bottiglione

“Prevedo che questa opinione mi costerà gli addebiti di essere un vecchio liberale laicista, tre addebiti di cui farei fatica a liberarmi”

forte quel vecchio liberale di Zanone! vero grande LAICISTA!

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