Antonio Maria Costa, direttore dell’agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), è a Kabul. La mozione, presentata da Rifondazione, Verdi e Rosa nel pugno, che impegna il governo a promuovere nelle sedi internazionali anche l’acquisto di oppio afghano ai fini di una sua utilizzazione nella terapia antidolorifica non lo trova d’accordo, pur apprezzando il suo spirito «umanitario»: «Per l’Afghanistan – dice Costa – è una proposta pericolosa. Per certi versi banale. Proprio questo pomeriggio abbiamo incontrato il presidente Karzai e le autorità afghane e a loro abbiamo presentato lo stato dell’arte: quasi la metà delle province sono liberate, o stanno per esserlo, dalla produzione di oppio, e questo grazie ai progetti di riconversione e di assistenza allo sviluppo. In quelle cinque, sei province del sud in mano ai Talebani e ai terroristi, invece, si registra un aumento della produzione.
L’oppio ai fini terapeutici costa 25-30 dollari al chilo, quello che finisce nel mercato illegale viene venduto a 130 dollari al chilo. Il raccolto di oppio nel 2006 in Afghanistan è stato pari a tre volte il fabbisogno mondiale di morfina». La mozione della sinistra è stata irrisa dagli esponenti della opposizione. […]
Per il leghista Roberto Calderoli «questa maggioranza vuole giocare al piccolo chimico, con effetti stupefacenti». Mentre per Maurizio Gasparri, An, la proposta di far comprare oppio dagli Stati sarebbe quasi un «narcotraffico istituzionalizzato». Gasparri, forse, ignora che diversi grandi paesi occidentali producono l’oppio a fini farmaceutici: «Paesi come l’India, la Turchia, l’Inghilterra, la Francia trasformano l’oppio in morfina a fini terapeutici. E’ molto importante – riflette Antonio Maria Costa, direttore dell’Unodc – che si sviluppi la terapia antidolorifica e da questo punto di vista capisco lo spirito umanitario della proposta di Rifondazione. Ma a livello mondiale, non c’è carenza di offerta di materia prima, di oppio. Nei paesi dove si produce sono occorsi decenni per diffondere una cultura antidolorifica nelle scuole, università, aziende farmaceutiche per esercitare così un controllo sul suo uso. In Afghanistan, è solo un sogno parlare di meccanismi di controllo del raccolto di oppio».
Insomma, a sentire uno dei massimi esperti dell’Afghanistan che produce oppio, la proposta italiana, pur avendo cittadinanza, è molto difficile che possa decollare. Del resto, questa proposta non è nuova. Da tempo la rilanciano diverse associazioni o organizzazioni non governative, alcune delle quali finanziate da George Soros. Nel settembre scorso, il «Senlis Council» ha accusato che in Afghanistan, negli ultimi cinque anni, la strategia antidroga «ha favorito le insurrezioni, rendendo il terreno fertile per il ritorno dei talebani». Nel 1996, si legge nel rapporto «Senlis», «c’erano 60 mila ettari di coltivazioni di papavero, nel 2006 sono circa 165 mila».
Numeri e cifre contestate dall’Unodc e da altre istituzioni internazionali: «Con i talebani al potere, le coltivazioni di oppio raddoppiarono: da 44.000 a 90.000 ettari. Alla vigilia dell’11 settembre, effettivamente i Talebani bloccarono la produzione di oppio. Ma quello stoccato fu rivalutato quasi del 200 per cento: da 40 a 700 dollari al chilo». Nel 2006 la coltivazione di oppio ha raggiunto i 165.000 ettari, con un incremento del 59% rispetto al 2005. […]
«Le coltivazioni – denuncia Costa, direttore di Unodc – si sono concentrate nel sud del Paese, con l’80% dei contadini impegnati in questa produzione. In sei province del nord, invece, non si coltiva più, in altre sei si coltivano meno di cento ettari per provincia».
Il testo integrale dell’articolo di Francesco Grignetti è stato pubblicato sul sito de La Stampa.