Dei Dico salva «l’intenzione politica», ma non molto di più. Maria Luisa Boccia, senatrice di Rifondazione comunista e tra le figure più autorevoli del femminismo italiano, pur esprimendo grande rispetto per «il faticoso e apprezzabile lavoro di mediazione» delle ministre Bindi e Pollastrini, va dritto al sodo: «Non si può girare attorno al punto fondamentale: il riconoscimento delle relazioni amoroso-sessuali, etero e omo». E’ l’assunto su cui fonda il ddl da lei stessa depositato in Senato. Nulla di nuovo però, fa notare: è già sancito dall’articolo 2 della Costituzione. Ed è la «condizione fondamentale anche per individuare e garantire i diritti dei singoli». D’altra parte «stiamo parlando non di libertà di parola, ma di diritti che valgono nella reciprocità del rapporto».
Nel giorno in cui si inizia a discutere di unioni civili, in Senato ci sono 9 diversi ddl, più i Dico. Si può partire da quest’ultimo come soddisfacente testo base?
Premetto che trovo positivo il fatto che il governo sia riuscito a raggiungere un compromesso interno e che abbia considerato l’argomento, contemplato nel programma dell’Unione, un punto rilevante da affrontare subito. Nel merito invece la pur faticosa e apprezzabile, ma troppo ristretta, mediazione delle due ministre non ha prodotto un buon ddl. Si sarebbe dovuto aprire un confronto più ampio tra diverse soluzioni giuridiche e diverse impostazioni politiche e culturali. Ora il fatto che la parola passi al Parlamento che discuterà a partire da tanti ddl diversi, lo considero un modo per allargare e rilanciare nel merito la questione. Ovviamente di compromesso si tratterà, anche tra coloro che premono per una legge. L’importante è che siano rispettate le due questioni di fondo: il riconoscimento del rapporto, della relazione amoroso-sessuale, e i diritti dei singoli che stanno dentro quel rapporto. Questo è il punto più pasticciato dei Dico e che invece una buona legge deve affrontare.
Diritti individuali e riconoscimento della relazione. Sono proprio in contrapposizione?
No, non a caso quando parliamo di forme plurali della famiglia citiamo l’articolo 2 della Costituzione che parla di «formazioni sociali», e non il 3 che parla di uguaglianza dei cittadini. Perché a cominciare dal rapporto madre-figlio, la soggettività si forma, si sviluppa, si esprime ed esercita la propria autonomia nella relazionalità. L’articolo 2 assume questo punto di vista, raramente contemplato nella cultura liberale: perché ci siano davvero diritti riconosciuti alle soggettività bisogna riconoscere le «formazioni sociali» in cui questa personalità si esercita e vive. Il riconoscimento dei rapporti, quindi, non è una recente invenzione, ma la condizione anche per individuare e garantire i diritti.
Ma dei Dico cosa salverebbe?
Salvo l’intenzione politica, fondamentalmente. Ma i Dico sono l’unico dei nove ddl depositati che non prevede una forma giuridica del riconoscimento delle relazioni. Tutti invece contemplano i diritti, sia verso il partner che verso lo stato, come la cura reciproca, la pensione, la successione, ecc. Nei Dico però questi diritti vengono accentuati da due precondizioni: la coabitazione e il tempo. Eppure la convivenza tra due persone non è solo coabitazione ma passa per un rapporto di impegno reciproco, di condivisione, di costruzione dell’esistenza. Il fatto poi che alcuni diritti maturino dopo un lasso di tempo molto lungo (nove anni per le successioni, ad esempio) mi sembra paradossale: si chiede al rapporto di fatto di dare quella prova di durata e stabilità che non viene richiesta alla coppia matrimoniale. Proprio mentre al matrimonio si vorrebbe attribuire un valore superiore di tutela della famiglia perché considerato più durevole e con un carico maggiore di obblighi e impegni reciproci. Ciò che dovremmo invece riconoscere è l’esistenza di forme diverse di unione ma non per questo meno responsabili o durature.
Nel ddl governativo vengono riconosciute anche le convivenze tra parenti, cosa ne pensa?
Questo è un punto a cui tengo ed è contemplato anche nel ddl che ho presentato in Senato. La legge però è divisa in due sezioni diverse: una per le unioni civili e l’altra per le unioni di mutuo aiuto. Nella prima si tratta di rapporti amoroso-sessuali, etero e omo, a cui va riconosciuto uno status giuridico attraverso diritti non discriminatori, gli stessi diritti di chi sceglie di unirsi in matrimonio, compreso quello di poter avere e mantenere i propri figli. Le unioni di mutuo aiuto invece riguardano anche più persone, unite da altre forme di convivenza – molto diffuse e in via di espansione – ma che nascono da altro tipo di legami. Per queste unioni va lasciato più spazio alle diverse modalità.
Che peso hanno avuto e avranno i Dico nella tenuta della coalizione?
Dal punto di vista politico il voto di Andreotti, e prima ancora il «non possumus» del Vaticano e ciò che ha scatenato, hanno avuto un peso molto grande che si farà sentire ancora. Ma non bisogna caricare la legge di una funzione che non ha: quella di liberare l’Italia da una cultura omofobica e sessista. So che il diritto ha una funzione simbolica ma sono contro le leggi manifesto, perché in questo modo usiamo gli strumenti sbagliati. Il femminismo ci ha insegnato un modo diverso di pensare e praticare la politica. La legge non è tutto, non può dare risposte al rigurgito dell’omofobia o a chi divulga un modello di famiglia da «Mulino bianco» nascondendo la realtà di un’istituzione che è ormai un coacervo di fenomeni inquietanti, dalla violenza alle alleanze per interessi. Anche per evitare una funzione di normalizzazione, la legge non deve essere troppo satura, non deve definire troppo.
Sabato prossimo a Roma la manifestazione del movimento omosessuale. Non vede un rischio di ghettizzazione?
Io parteciperò perché considero importante costruire momenti politici e di dibattito anche fuori dal Parlamento. Il rischio c’è ed è anche un effetto del clima politico. Anch’io ho paura della difficoltà a coinvolgere in modo più ampio i partiti e altri movimenti che non siano direttamente interessati. Bisogna che tutti capiscano che è in gioco in questo momento una questione fondamentale: l’autonomia politica dei soggetti sociali.