Il consiglio di amministraz\ione della Rai ha bocciato, a maggioranza, le nomine proposte dal direttore generale. È un ennesimo episodio del braccio di ferro in corso tra maggioranza del consiglio di amministrazione, espressione della maggioranza politica della precedente legislatura, e direttore generale, nominato invece dopo le elezioni. È un esempio dei guasti provocati dalla iperpoliticizzazione della Rai e dalla pretesa dei partiti di controllare il sistema televisivo pubblico come proprio strumento privato. Ciò detto, a nessuno delle parti in causa, e agli esponenti politici dell’una o dell’altra parte che sulla vicenda si sono espressi, è venuto in mente di dire che quelle nomine andavano respinte per manifesta discriminazione contro le molte donne giornaliste e professioniste della comunicazione. Di denunciare l’inaccettabilità di un pacchetto di nomine rigorosamente monosesso non è venuto in mente a nessuno non solo perché la nostra classe politica è singolarmente cieca e sorda sul tema delle disuguaglianze di genere, ma perché se lo avessero fatto avrebbero dovuto denunciare la illegittimità degli stessi istituti in cui siedono e cui rimangono abbarbicati a oltranza. Il consiglio di amministrazione della Rai è rigorosamente monosesso, così come molti altri luoghi di potere in Italia. E quando non lo sono, sembra che basti una donna per mettersi il cuore in pace (ad esempio nella Corte Costituzionale) o, se l’organismo è molto ampio, una manciata di donne. Del resto, anche le ultime nomine nelle Authority hanno rispettato il copione. Ad esempio, benché si sappia e si ripeta che le donne sono molto presenti nel volontariato e negli organismi di terzo settore, dove a volte riescono a raggiungere posizioni di vertice (anche se sempre in misura inferiore alla loro partecipazione), quando, qualche giorno fa, si è trattato di nominare il presidente della Authority del terzo settore la scelta è caduta ovviamente su un uomo. La vicenda delle nomine in Rai è avvenuta proprio il giorno in cui non solo si è assistito alle rituali celebrazioni dell’8 marzo, ma il presidente Napolitano ha dichiarato che l’assenza delle donne dai luoghi della politica è una questione di democrazia di rilevanza costituzionale e la loro mancata valorizzazione uno spreco sociale che non ci possiamo più permettere. Purtroppo, per la maggioranza della classe dirigente maschile che presidia ferocemente la propria posizione monopolistica né l’una né l’altra questione sembrano ancora all’ordine del giorno. Forse sarebbe ora di mandare un segnale che le risorse di pazienza femminile sono finite.
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