In un articolo apparso sul sito Zenit.org viene pubblicata la risposta a un lettore da parte della dottoressa Claudia Navarini, docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Cara dottoressa,
(…) ogni paziente ha il diritto di rifiutare le cure che gli vengono proposte dal medico. Secondo questo principio, bisogna ammettere che non vi siano distinzioni fra una cura già iniziata e una che deve ancora iniziare, anche a distanza di tempo. Mi sembra si debba riconoscere pertanto ai pazienti la possibilità di rifiutare i trattamenti, anche una volta iniziati oppure attraverso le dichiarazioni anticipate. Mi riferisco ovviamente al rifiuto dei mezzi di sostegno vitale, come ad esempio la ventilazione meccanica. Tale richiesta, infatti, non ha nulla a che vedere con l’eutanasia, che è invece un atto teso a sopprimere un paziente per mezzo di un intervento farmacologico. Non crede?
[…] Proviamo a considerare le due eventualità, quella in cui la richiesta del paziente derivi da una volontà suicidaria e quella in cui invece non lo sia. Ammettiamo che il paziente voglia morire, ma non possa farlo perché “attaccato” ad una macchina che lo mantiene in vita. Chiederà al medico, secondo la logica qui considerata, la sospensione del trattamento, invocando il suo diritto al rifiuto della terapia. Tuttavia, a mio avviso, un malato non può chiedere ad un medico di contribuire ad un atto o ad un processo che direttamente lo porti alla morte, nemmeno attraverso lo strumento del rifiuto della terapia. Se il paziente avesse infatti questo potere decisionale, che di fatto è potenzialmente illimitato nei confronti del medico, diventerebbe ultimamente impossibile escludere l’opzione eutanasica, mentre il medico sarebbe inesorabilmente trasformato in un mero esecutore della volontà del paziente. Tale eventualità non è dignitosa nei confronti del medico ed è comunque irrealizzabile, dal momento che – qualunque sia il grado di determinazione della volontà eventualmente suicidaria del malato – la responsabilità morale del medico nell’atto non verrebbe con ciò annullata.
E veniamo al secondo caso: se un paziente rifiutasse un trattamento salvavita per motivi non suicidari? Tale eventualità, invero possibile, assai difficilmente avrà un carattere di evidenza per il medico, che pure ha una responsabilità etica e deontologica nell’esecuzione dell’atto di sospensione terapeutica. Si può affermare dunque che il paziente abbia il diritto di sottrarsi alle cure, non però in assoluto e in generale, bensì in circostanze particolari, in cui sia autonomo rispetto all’attivazione e alla continuazione della cura in oggetto. Non ha lo stesso diritto una richiesta di sospensione in cui il paziente non sia più autonomo nella somministrazione della cura, indicata (ovvero non sproporzionata) nelle sue condizioni e necessaria al mantenimento in vita, ma dipenda in ciò interamente dal medico, il quale non ha mai il diritto di scegliere la morte del paziente come “male minore” o su richiesta dello stesso.
Perché tale richiesta non sia di carattere suicidarlo, e dunque il rifiuto della terapia sia moralmente ammissibile non solo su piano dei rapporti interpersonali (cioè sul piano dei diritti) ma anche soggettivamente, occorre inoltre che al paziente risulti evidente il maggior bene implicato dalla rinuncia al trattamento e forse anche alla sua vita fisica.
Dunque, anche qualora il paziente fosse autonomo rispetto all’inizio o alla prosecuzione del trattamento, non necessariamente può – in senso morale – rifiutare la terapia salvavita. I casi in cui valga la pena sacrificare la propria vita fisica non sono infatti numerosi, mentre la presenza di forti sofferenze o di trattamenti gravosi non sono mai per se stessi motivi sufficienti di rifiuto della vita. […]
Concludendo … il paziente non può decidere della propria vita , men che meno se è ricoverato in qualche ospedale cattolico .
In parole povere: se il paziente è un papa potrà rifiutare le cure ed essere per questo santificato, se invece è un povero umano qualsiasi si dovrà beccare tutti i trattamenti artificiale e continuare a soffrirere fino allo sfinimento.
amen
Cosa non s’inventano per arrampicarsi sugli specchi…
Quindi secondo la “logica” della dottoressa, poiche l’opzione eutanasica è da escludersi a priori (in virtu di che cosa? del suo credo religioso?) allora il paziente non ha titolo per avere questo “potere decisionale” sulla propria pelle.
E chi se non il paziente stesso, il medico?
Esattamente come dovrebbe essere: io paziente chiedo a te medico di curarmi o di non curarmi.
Certo, se si tratta di un trattamento “salvavita” quali potranno mai essere i motivi del paziente se non quelli suicidiari?
eh si, direi che è assai possibile…
Insomma se per qualche ragione non può muoversi per staccare la spina è costretto a subire ciò che il medico decide per lui.
Che dire…. è allucinante, questa cretina (o credina) sta condizionando un diritto al fatto che uno si possa muovere oppure no, è come dire possiamo aiutare una persona a salire le scale solo se è autonoma nel salire le scale, incaso contrario decidiamo noi per lei.
Questo è un “dogma” in voga tra i cattolici, ma si da il caso che non tutti i medici e non tutti i pazienti lo siano.
Il fatto che lo richieda non è una prova sufficente di questa “evidenza”? curioso il “forse anche alla sua vita fisica” alla fine, di quale altra vita si deve occupare un “medico”? di quella spirituale?
E’ ovviamente lei a decidere per tutti… devo però riconoscerle “magnanimità” nell’ammettere che, in fondo in fondo, questi casi esistono, basterebbe quindi fare 1+1 per ammettere che se esistono questi casi esiste anche il diritto.
praticamente i medici cattolici si sentono autorizzati ad andare in giro per l’ospedale a praticare le cure che vogliono loro sui pazienti che vogliono loro, e chissenefrega della volonta del paziente. questi “dottori”, data la loro manifesta pericolosita sociale, che non hanno neanche il pudore di nascondere ma di cui si vantano, DEVONO essere allontanati dalle strutture pubbliche, se necessario con la forza. non vedo altre soluzioni.
Quanti cazzoni esistono nella classe medica, e purtroppo noi li dobbiamo sopportare, invece di cacciarli a calci nel deretano.
Ma i cosiddetti martidi della chiesa come si pongono allora? E’ gente che ha scelto di morire in nome di una causa personale (a parte qualche esempio di sacrificio in nome altrui che reputo onorevole).
Non e’ volonta’ suicidaria quella?
Saluti
Hanmar