Gentile direttore,
sono abbonata alla sua rivista, che apprezzo per la completezza, l’equilibrio e il pluralismo degli articoli pubblicati. Vorrei intervenire sulla materia dei DICO, il cui editoriale sul numero 3 di marzo, a sua firma, mostra grande pacatezza e disponibilità al confronto delle idee.
Sono una donna omosessuale, credente, che ha trovato in uno splendido rapporto di coppia con un’altra donna un motivo in più per credere e confidare in un Dio misericordioso e fondato sull’amore tra le persone. Lo dico con tanta gioia e convinzione, e non ho problemi a dire che ho scoperto e che scopro sempre di più la bellezza di Dio nell’amore omosessuale, in particolare in questo attuale amore, così profondo e gratuito. La mia coscienza mi infonde serenità in questo apprendere e vivere la letizia di un amore oblativo e reciproco nel rapporto di coppia che vivo. Il mio percorso di fede si è svolto in un cammino non guidato dal magistero della chiesa cattolica, e ovviamente non poteva essere altrimenti, visto che la chiesa non accoglie l’amore omosessuale. Ho trovato comunque nutrimento per la mia fede in un contatto diretto con la Scrittura e, da ultimo, anche nella confessione valdese, che si pone di fronte agli omosessuali in un rapporto di accoglienza e di inclusione. Paradossalmente – ma non tanto, visto che la discriminazione può diventare lievito per la saldezza della fede – la posizione della chiesa cattolica ha aumentato la mia fede, nel senso che il sentirmi esclusa dalla comunione ecclesiale ha sostanziato i miei fondamenti religiosi, che vedono in Cristo l’amico degli oppressi e dei perseguitati. Dopo questa premessa di carattere personale – che mi sembrava importante per inquadrare il senso del mio discorso – vengo adesso al nocciolo dell’argomento. Mi inquieta e mi rattrista che la chiesa si stia adoperando – con una forza e intensità vicini all’accanimento e alla sfida – contro l’attribuzione di diritti civili alle coppie omosessuali. Considerando che il progetto di legge dei DICO – che si è mirabilmente sforzato di non parlare di riconoscimento delle coppie, quanto di diritti dell’individuo che si lega a una rapporto di coppia – non lede la supremazia della famiglia in quanto cellula privilegiata della civiltà, non capisco perché la chiesa, soprattutto nella persona del cardinale Ruini, stia facendo evidente pressione (con conseguente “oppressione” delle persone coinvolte, notare l’assonanza non solo linguistica…) sulla politica per negare diritti che fanno parte di una società pluralistica, checché ne possa dire il magistero della chiesa. Trovo forzato, nonché velatamente arrogante, il voler imporre una concezione comunque confessionale (il “disegno divino”, spacciandolo per legge naturale tout court) a una società laica, fatta di credenti e di atei, presumendo (anche nel senso non propriamente letterale e più negativo di “presunzione”) che la concezione di fede coincida con quella della razionalità e del buon senso, al di là dell’impostazione religiosa.
Caro direttore, mi sembra che qui ci sarebbe abbondante materia per discutere e per dirimere: sul concetto di “naturale” ci sono tante opinioni contrastanti da farne materia di enciclopedia. Quel che mi sconcerta è invece l’atteggiamento della chiesa odierna in una materia così delicata. I toni da crociata che essa sta assumendo sono vicini all’accanimento e alla sfida, non hanno più niente di pastorale, e proprio per questo motivo muovono alla perplessità circa l’intento della “battaglia”. Come giustamente lei fa osservare – citando l’articolo di Enzo Bianchi – la preoccupazione della chiesa dovrebbe essere più pastorale che politica, mentre invece assistiamo ogni giorno ad un’indecorosa scalata ai consensi nel mondo politico, da parte della CEI, che muove a grossi interrogativi sulla funzione stessa della chiesa nella società attuale. Ignorando l’invito evangelico a separare la sfera di Dio da quella di Cesare, ignorando la sempreverde lezione della Lettera a Diogneto, la chiesa cattolica sembra impegnarsi ormai su un fronte più legalistico che pastorale. Lo prova l’annuncio-minaccia della redazione di un documento vincolante per i politici cattolici. Mi chiedo dunque: dove sta andando la chiesa? Come vorrebbe stimolare alla fede una chiesa così orientata? Il mio dispiacere, che tenevo a illustrarle in questa mia lettera, è che questo atteggiamento finirà per allontanare sempre di più dalla pratica cattolica e comunitaria i fedeli omosessuali. Non vedo, non registro un rammarico nella gerarchia vaticana su questo argomento, che pure dovrebbe preoccupare, se solo si volesse dare attenzione all’avvicinamento della “pecorella smarrita” (ma che qui chioserei come “dissidente”) rispetto alle altre pecorelle. Ci troviamo di fronte a un’inquietante operazione di esclusione, da parte della chiesa cattolica, la quale invece dovrebbe tendere sempre all’inclusione, secondo il dettato evangelico. Con questa pregiudiziale contro la coppia omosessuale – che si nega a qualsiasi sereno e pacato confronto, arroccandosi sulle ragioni monolitiche del “no” – con questa implicita condanna dell’amore tra le persone, che esclude qualsiasi oblatività amorosa che non sia legata alla riproduzione (in ciò stridendo con il comandamento essenziale del Cristo, ed escludendo inevitabilmente ogni amore eterossessuale in cui i componenti siano sterili, se la coerenza ha un senso) – la chiesa sta perdendo e continuerà a perdere tra i propri fedeli le persone omosessuali. Questo è il punto cruciale che le sottopongo: è così irrilevante per la chiesa questa perdita di persone alla comunione ecclesiale? Può essere così cinica la chiesa da preferire una vittoria legalistica alla deriva politicizzata del suo messaggio, che comporterebbe la fuoriuscita degli omosessuali dalla comunità dei credenti? Può davvero considerare come assoluto l’obiettivo di vincere una sfida così aggressivamente impostata, tralasciandone le implicazioni di sofferenza di milioni di persone? Siamo purtroppo al paradosso della supremazia della forma sulla sostanza, della norma sull’individuo, che è fatto di sensibilità, dolore, mistero insondabile nella profondità del suo essere.
Spiace dover constatare questo declino del senso religioso in una chiesa che si pone sempre più come nemica che amica, più come ostacolo che fonte di liberazione, Su tutto, domina per fortuna la luce della coscienza, che sa legittimare e fondare ciò “che è buono” e che conduce all’amore e alla condivisione, nonostante le storture di una chiesa che, da organo spirituale originariamente affidatole, sta diventando sempre più soggetto politico, prescrittivo, autoritario e farisaico.
Inoltre, non è da mettere in secondo piano i pericoli che tale crociata antiomosessuale, da parte della chiesa e dello schieramento di centrodestra del mondo politico, può produrre nella vita quotidiana, con il rischio – non tanto campato in aria – di istigare infine odio e discriminazione nell’opinione pubblica. Non si pensi come esagerato il preconizzare un rigurgito di omofobia anche nella vita quotidiana della società civile, con questi proclami di velato sapore razzista. Purtroppo, i messaggi lanciati dalla chiesa e dalla politica, di segno discriminatorio verso gli omosessuali, possono prima o poi contribuire a un clima aggressivo, che può determinare anche atti violenti. Se nel prossimo futuro si verificheranno vicende criminali contro persone omosessuali – che non mi auguro affatto! – non si voglia poi indicare nella responsabilità individuale l’unica scaturigine! La responsabilità morale in tali episodi delittuosi non è mai solitaria. Dovrebbe invece far riflettere il contributo, più o meno velato, che un certo clima politico e religioso può offrire nell’esacerbare il disprezzo verso i “diversi”.
Per questo credo che la chiesa cattolica dovrebbe fare molta attenzione a trattare un tema così delicato, inquadrato in un’ottica molto più ampia del semplice recinto religioso, e assumersi le responsabilità che la sua “condanna” o comunque esclusione potrebbe esercitare nella vita sociale di una comunità civile.
Se ha tempo e voglia, caro direttore, mi farebbe molto piacere conoscere la sua opinione in proposito.
Con molta stima
Daniela Monreale
Lettera pervenuta a ultimissime@uaar.it
Mi sembra che questa lettera, da una parte, chiarisca che la fede come l’amore è un sentimento naturale e positivo. Come biologa aggiungo che questi sentimenti esistono perchè sono comparsi e sono stati evolutivamente selezionati come utili per la sopravvivenza degli individui della specie Homo sapiens. Infatti sono dei sentimenti che spingono a comportamenti “sociali” di cooperazione e di sacrificio!
Dall’altra, la lettera mostra anche come la fede possa essere usata come strumento repressivo e negativo per raggiungere lo stesso fine sociale: la sopravvivenza del gruppo. Ed è questo aspetto della religione che, in sintesi, è antitetico ai diritti dell’uomo che è inaccettabile
Credo che il punto fondamentale denunciato da Daniela Monreale è che, a differenza di altre chiese cristiane, ” la chiesa cattolica sembra impegnarsi ormai su un fronte più legalistico che pastorale”.
E ciò è incontrrasto con il disegno di quel Cristo di cui i monsignori vaticani si auproclamano successori e interpreti veritiere.
Quel Cristo che disse: dai a Cesare quel che è di Cesare.
Non ho capito se questa lettera è stata solo inviata a Jesus o se è stata anche pubblicata.
“la chiesa sta perdendo e continuerà a perdere tra i propri fedeli le persone omosessuali.”
Ma sì, andate a cercare fonti d’acqua limpida !!! Cosa ci sarebbe di male se gli omosessuali in massa abbandonassero la ccar, previa cancellazione dalle sue liste (volgarmente detto sbattezzo), e migrassero chi dai valdesi chi in qualche altra comunità. Ne guadagnerebbero in serenità.
Su, un po’ di coraggio!
Già, forse per la fuga in massa delle “pecore” il pastore teme di rimanere disoccupato…
mah!
omosessuale e credente…… poveretta: costretta per fede a cercar l’approvazione di chi la condanna!
“sono stati evolutivamente selezionati come utili per la sopravvivenza degli individui della specie Homo sapiens”
Mi sembra che questo contrasto tra predisposizioni innate vantaggiose per la SPECIE e il moderno bisogno di diritti INDIVIDUALI sia davvero un’illuminante chiave di lettura di molti problemi. Però non sono tanto convinto che nel caso della religione sia la spiritualità il sentimento dominante, se non per pochi individui, quanto il bisogno di appartenenza al gruppo esemplificato e ribadito dal rito e dai simboli del culto.
ops, mancava un @ Bruna Tadolini
non sono tanto convinta che la fede sia un sentimento naturale e positivo, io lo reputo un sentimento irrazionale e soprattutto negativo, perchè facilmente utilizzabile per sopraffare e incatenare per sua stessa natura. Credo che la fede e la religioni siano dannose per l’uomo e la (donna) e lo facciano vivere in uno stato di perenne schizofrenia.
Non penso che la fede sia, a priori, una cosa negativa.
Può avere anche effetti molto positivi. Mi sembra che la donna che ha scritto questa lettera sia piuttosto serena e che si senta arricchita dalla sua fede che, guarda caso, non è quella cattolica.
La fede dovrebbe riguardare le singole persone.
Le adunate di massa sono negative, le regole che colpevolizzano senza una ragione sono negative, limitare la librtà degli altri in nome del proprio Dio è negativo. Certo che la fede è inrazionale ma non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Il problema delle principali religioni monoteiste è che vogliono plasmare la società in nome delle loro convinzioni inrazionali. In questo senso sono anticlericale. Se ogniuno coltivasse la propria religione a casa sua, con l’aiuto della sua guida spirituale o quant’altro non vedo quale sarebbe il problema.
Penso anche che la propensione a cercare una propria fede sia una cosa naturale. Altrimenti non si spiegherebbe tutto il successo delle religioni in ogni parte del mondo. E’ altrettanto naturale però, che ci sia anche qualcuno che non ha questo bisogno…
Tutti i comportamenti, fede e spiritualismo compreso, sono frutto dell’evoluzione e se sono presenti nella nostra specie significa che sono stati selezionati positivamente e quindi erano utili.
Utili a chi e a cosa? Daniela dice che secondo lei non è utile ma dannoso e la nostra esperienza quotidiana può anche darle ragione.
Evidentemente c’è qualcosa di contraddittorio fra i due dati di fatto. Per capire che non c’è contraddizione bisogna considerare che la nostra evoluzione si è svolta decine, centinaia di migliaia di anni fa quando l’uomo non era quello di adesso e neppure il mondo era quello di adesso.
Allora l’uomo poteva sopravvivere solo se aveva una società più vasta e complessa della famiglia. Ma per tenere insieme una simile società bisogna che gli istinti egoistici siano controllati e che si sviluppino istinti alla collaborazione e all’altruismo. In quest’ottica sono selezionati positivamente tutti circuiti nervosi che portano ad aumentare l’altruismi, la bontà, il sacrifico insomma l’impegno morale. Se questo non basta si evolve una struttura culturale che applica le regole “morali” (che guarda caso sono proprio quelle che limitano i conflitti intragruppo) per il bene del gruppo e quindi anche degli individui (se il gruppo è sopraffatto…anche l’individuo muore).
Ora il mondo non domina più l’uomo ma è dominato dall’uomo! Abbiamo molto meno bisogno del gruppo per sopravvivere individualmente per cui possiamo….dichiarare i diritti dell’uomo e giudicare male la religione…. che ora fa danno!
Come dicevo in un altro commento essendo la religione uno strumento evolutivo per il gruppo è incompatibile …… con i diritti dell’individuo.
La sfida sarà quella di trovare un equilibrio per il vecchio ed il nuovo!
Mi sembra una variante subdola della “legge morale naturale”. Il cancro e l’invecchiamento sono probabilmente anch’essi il frutto dell’evoluzione, con la funzione di metter fuori gioco gli individui che superano una certa eta’ e lasciar posto alle nuove generazioni (forse il discorso vale persino per la morte). Ma questa loro utilita’ non significa che cancro, vecchiaia e morte siano positivi e desiderabili per ciascuno di noi, preso individualmente.
Non nego l’utilita’ o l’effetto benefico della fede nella vita di chi crede, ma denuncio la pericolosita’ della fede quando diventa un fatto sociale, un paradigma culturale che porta alla stagnazione della societa’ e si impone come unico, invariabile fondamento dell’etica.
Non sono mica tanto d’accordo…
@ jsm scrive:
“mah!
omosessuale e credente…… poveretta: costretta per fede a cercar l’approvazione di chi la condanna!”
mi sembra proprio un commento stupido! Nessuno mi ha mai costretta a cercare approvazione, non la cerco, non mi interessa, e se leggi bene la mia lettera, ti dovesti rendere conto che ho più coraggio di quanto pensi!
Per inciso: la lettera non è ancora stata pubblicata sulla rivista.
Vorrei aggiungere una riflessione, letti i vostri post:
Da che è nato l’uomo, il sentimento religioso (chiamamolo anche senso del trascendente, senso del sacro, bisogno di assoluto, percezione del mistero, ecc…) è sempre esistito, e penso che sempre esisterà. Gli si può dare una valenza negativa (irrazionalità) o positiva (desiderio autentico di un rapporto col divino), sta di fatto che questo fenomeno esiste ed è in grado di dare un senso alla vita di molte persone. Fa parte dell’uomo, e come tale va rispettato. Non si può criticare una cosa solo perchè per noi non riveste alcun significato. Per altri lo avrà, così come per noi ha significato qualcos’altro (scienza, letteratura, arte, ecc…). Il punto è un altro: la religione istituzionalizzata come centro di potere ha un potenziale negativo grandissimo, perchè può utilizzare un insieme di credenze (che fanno leva sulla parte più sganciata dalla ragione, checchè ne dica Razti) per manipolare le coscienze. Ecco pechè io critico le religioni organizzate come potere. Se le religioni si limitassero al loro ruolo (come fanno le religioni buddiste, le protestanti, e in qualche modo anche la religione ortodossa) ci sarebbero meno conflitti e meno guerre. E’ la strumentalizzazione della fede che porta a disastri. Il punto cruciale è dunque questo: la fede in sè è buona, perchè è un valore e in quanto valore non danneggia l’uomo, anzi… Il problema è quando la fede viene calata in un ruolo che non le è proprio, un ruolo di persuasione, di oppressione, di persecuzione. E’ la stessa questione che ruota intorno alla scienza: la scienza in sè è positiva, è la sua utilizzazione, la tecnologia, che può portare a vantaggi (progresso scientifico) o danni (inquinamento, disastro ambientale, ecc…). Troppo spesso invece constato molta confusione tra religione e uso della religione, e questo crea un’errata impostazione del discorso. Niente vieta che atei e credenti possano lavorare al bene comune. L’importante è rispettarsi e non oltrepassare il confine della libertà individuale.
@ Bruna Tadolini che scrive:
“Come biologa aggiungo che questi sentimenti esistono perchè sono comparsi e sono stati evolutivamente selezionati come utili per la sopravvivenza degli individui della specie Homo sapiens. Infatti sono dei sentimenti che spingono a comportamenti “sociali” di cooperazione e di sacrificio!”
Questo vuol dire che i non credenti sono a rischio di estinzione?..!!
@Daniela M
Abbastanza d’accordo su tutto cio’ che dici, tranne il fatto che io sono molto piu’ pessimista sulla possibilita’ di ricondurre le “religioni istituzionalizzate” (soprattutto quelle monoteistiche piu’ dure e pure, cattolicesimo e islamismo) ai miti consigli del rispetto della coscienza individuale e della laicita’ delle istituzioni che gli uomini si danno. Queste religioni sono nate come paradigmi esistenziali assolutistici, come visioni del mondo totalitarie, che non ammettono altre visioni del mondo e soprattutto sono nate per essere anche un sistema di regole di convivenza per la societa’.
@ jsm scrive:
“mah!
omosessuale e credente…… poveretta: costretta per fede a cercar l’approvazione di chi la condanna!”
Purtroppo, c’è sempre chi legge con superficialità quello che altri scrivono e poi si permettono di giudicare, soprattutto con termini così squallidi come “poveretta”.
Se leggevi bene ti saresti accorto/a che Daniela nella sua ricerca di autenticità non è costretta da nulla se non dalla sua libera coscienza.
Credo che la fede sia un fatto privato e quando non si chiude nell’intolleranza e nella pretesa di possedere la verità e di insegnarla agli altri, sia un fattore positivo, anche perchè non reca disturbo e offesa a nessuno. Non è bene invece che un sentimento religioso individuale, una propria ricerca di spiritualità debba per forza coincidere con una religione istituzionale.
Per ritornare alla bella lettera in cui Daniela ci racconta la sua esperienza, se leggevi con attenzione, avresti percepito la protesta civile e non la ricerca di approvazione di una realtà che lei ha lasciato. Consiglio: meditare prima di tranciare giudizi.