Nel 1867 l’École Polytecnique di Zurigo aprì le sue porte alle studentesse: per la prima volta, dopo secoli di ostracismo, le donne avevano accesso allo studio delle materie scientifiche all’interno di un ateneo. A distanza di quasi centocinquant’anni, e in un quadro di riferimento molto diverso, il rapporto fra donne e scienza continua a presentare forti chiaroscuri: a tutt’oggi le scienziate insignite del Nobel sono infatti appena undici e il numero di donne che rivestono ruoli di rilievo nella ricerca rimane esiguo, malgrado gli ottimi risultati delle studentesse nelle facoltà scientifiche e la consistente presenza femminile in molti laboratori. Su questa lunga discriminazione si propone di stimolare una riflessione il progetto «Nobel negati» di Lorenza Accusani, che la Triennale di Milano ospiterà domani con un convegno e una mostra all’interno della rassegna «I giardini di marzo».
Apparentemente bizzarra, la definizione di «Nobel negati» fa riferimento ad alcune scienziate che, pur avendo preso parte a progetti premiati con il celebre riconoscimento, furono penalizzate rispetto ai loro colleghi: la cristallografa Rosalind Franklin, la biologa Nettie Marie Stevens, l’astronoma Annie Jump Cannon, l’astrofisica Jocelyn Bell-Burnell e le fisiche Lise Meitner e Chien-Shiung Wu. Tra di esse una soltanto è ancora in vita: l’astrofisica irlandese Jocelyn Bell-Burnell, che scoprì le stelle pulsar nel 1967 quando aveva ventiquattro anni e che sarà ospite dell’incontro milanese. […]
Fra le vicende delle scienziate che verranno ricordate a Milano, emblematica è quella della fisica Lise Meitner, austriaca di origine ebrea, che insieme ai chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprì la fissione nucleare sul finire degli anni Trenta. […]
Altrettanto significativa è la sorte della chimica Rosalind Franklin, che fornì le prove sperimentali della struttura del Dna. Per questa scoperta ricevettero il Nobel nel ’62 solo James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins, che realizzarono il modello a doppia elica, reso possibile in realtà grazie alla famosa «foto 51», scattata dalla Franklin e sottratta dal suo laboratorio. La verità fu rivelata nel 1968 dallo stesso Watson nel libro La doppia elica, quando la ricercatrice era morta.
La verità fu rivelata nel 1968 dallo stesso Watson nel libro La doppia elica, quando la ricercatrice era morta.
Se la sfortuna di scienziate come Rosalind Franklin si può ricollegare al fatto che all’epoca della loro attività la presenza femminile nei laboratori era fortemente penalizzata (spesso le donne non erano ammesse alle mense e alle sale comuni, nei luoghi cioè dove avveniva lo scambio di informazioni tra scienziati), studi recenti hanno rilevato come forme sottili di discriminazione resistano anche oggi. Un’indagine condotta con rigore statistico nel ’97 dalle svedesi Christine Wenneras e Agnes Wold e pubblicata su «Nature» ha dimostrato che per ottenere promozioni pari a quelle di un ricercatore, una ricercatrice deve dimostrarsi due volte e mezzo più brava.
Scienziate del Novecento, la ricerca nell’ombra
6 commenti
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beh! ora vedo la cultura cristiana: le donne sono inferiori!
Ringraziamo le nostre “radici cristiane” e le religioni in generale che sono riuscite a fare solo danni, e comunque le donne non sono discriminate solo nellambiente scientifico ma ovunque, dalla politica alle redazioni dei giornali.
Come mai la scuola politecnica di Zurigo (un istituto germanofono) nell’articolo é stato chiamato con la traduzione in francese? Semmai sarebbe corretto Technische Hochschule.
Rosalind Franklin, ebrea anche lei, morì prima di poter ricevere il premio Nobel, se no glielo avrebbero certamente dato. Postumo non si può.
Troppi raggi X e le venne un tumore…
Comunque di donne scienziate ce ne sono relativamente poche.
Sono una donna e non ho mai avuto l’impressione di essere discriminata, naturalmente negli ultimi 20-30 anni.