I vescovi hanno diffuso la Nota pastorale sulla famiglia e sui Dico: “La legalizzazione delle coppie di fatto è inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo” […]
E sulla legalizzazione dell’unione di coppie omosessuali, la Cei scrive: “Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perchè, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”.
Per i vescovi, i politici cattolici che voteranno sì ai Dico, dimostreranno incoerenza: “Nessun politico che si proclami cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. Sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto”.
Il testo integrale dell’articolo è stato pubblicato sul sito di Repubblica
Bene. Finalmente sono usciti allo scoperto!
Per i vescovi la forma di governo preferita è la dittatura!
come mi piace la considerazione che hanno le tonache del concetto di libertà!!
“colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio”
curioso che gli adoratori di sacre scritture come queste siano così intransigenti con le coppie di fatto…
Beh … nemmeno una scomunica ? Dopo tutto questo cancan non hanno avuto il coraggio di lanciare scomuniche per i politici disobbedienti . Mi deludono .
“Nessun politico che si proclami cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica”
Hitler era più democratico … cmq quasi mi sento un idiota a commentare discorsi simili in un’Europa che ha totalmente voltato le spalle al cristianesimo e, ancor più, al cattolicesimo.
A me è piaciuto molto l’intervento del Presidente emerito Scalfaro, cattolico praticante, che ha chiaramente espresso le seguenti parole: “guai se davvero si vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la libertà di decisione politica sui Dico. In sessant´anni questo non è mai accaduto. Confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l´assunzione individuale delle responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una inutile pattuglia, e l´effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato”
Sottoscrivo in pieno il pensiero del Presidente emerito Scalfaro.
Marco
“l´effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato”
magari! per ora non si stà verificando …
Conferenza Episcopale Italiana
Nota del Consiglio Episcopale Permanente
a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio
e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto
L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.
La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente «approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi» (Statuto C.E.I., art. 23, b).
Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.
Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.
A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.
Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.
Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.
Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.
Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: «i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana», tra i quali rientra «la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna» (n. 83). «I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato» (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.
In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di «un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).
Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non «può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).
Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.
Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.
Roma, 28 marzo 2007
I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.
“Nessun politico che si proclami cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia…” ergo nessun cattolico “ligio” può far politica in un paese democratico.
CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE.
“Nessun politico che si proclami cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. Sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto”
L’imperativo iniziale ci fa capire in quale teocrazia viviamo. Ora ci tocca solo vedere cosa faranno i politici…
Semplice, i politici hanno già espresso il loro parere negativo sui Dico, i quali verranno bocciati in Senato con i voti di tutta l’opposizione e con quelli di Mastella. Quindi, niente Dico!
Un enclave ci pone i suoi diktat, li pone al nostro Parlamento, altro che guerre in Medio Oriente, qui c’è da invadere il Vaticano e mandar via tutto quel pretame, e non lo idco per dire, lo penso e lo spero, anche se so che non accadrà.
Fuori il Vaticano dall’Italia!
Ely il Vaticano dall’Italia lo abbiamo cacciato centotrentasette anni fa, te lo assicuro visto che dalla mia finestra vedo chiaramente la breccia di Porta Pia! Ciao Marco
Se lo riconoscono anche i vescovi non ci possono essere più dubbi: in politica l’autonomia dei laici appartiene ai candidati… laici!!!! (i cattolici non la vogliono? problemi loro…)
@Marco
beh lo so, ma evidentemente, con la marcia su Roma, Roma è marcita e son tornati da una breccia… lateranense!
e se ribaltassimo la sentenza:
nessun politico laico può appellarsi al principio dell’autonomia religiosa!
in fondo la democrazia è un sistema che può tollerare tutto tranne che l’intolleranza.
Le religioni invece spingono sistematicamente la gente all’intolleranza….forse è ora di stabilire dei limiti.
Tanto più che tutta la pretaglia campa con i sussidi degli italiani
A questo punto i cattolici non dovrebbero votare!
certe espressioni faccio veramente fatica a digerirle. questi sono diktat (ringrazio Inhoc per averci rapidamente messo a disposizione l’intera nota) da rifiutare in quanto tali. se fossi un parlamentare cattolico risponderei in modo piuttosto piccato a quei simpaticoni della CEI, li provocherei al limite della scomunica. ma non sono nè cattolico, nè parlamentare, quindi non comprendo a pieno cosa si agiti in quelle teste.
@ Marco
riconosco una certa importanza nelle parole di Scalfaro, ma è un’invettiva che ora è opportuno circostanziare, biasimando e rifiutando pubblicamente le note dittatoriali della cei e della congregazione della fede.
essere credenti, cristiani, cattolici non significa andare a braccetto con quei loschi figuri. o no?
@Lorenzo A:
Sei un bieco relativista … 😉
“essere credenti, cristiani, cattolici non significa andare a braccetto con quei loschi figuri. o no?”
Perfettamente d’accordo.
Diciamo che nessun cattolico dovrebbe fare il politico.
Almeno risolviamo con coerenza la questione.
Di Scalfato mi fido come di un serpente a sonagli
Ancora un colpo e ci sarà il botto
“Nessun politico che si proclami cattolico può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. ”
Ma..mi ricorda i discorsi di un omino tedesco impotente con i baffi..secondo me si stanno scavando la fossa da soli cmq!! Anche i vecchi cattolici si sveglieranno, sennò sono proprio cretini (cristiani= cretini by Odifreddi nell’ultimo libro, il mitico Piergiorgio)
Sarebbe ora di fare ritirare fuori il caro vecchi antclericalismo risorgimentale!!!
La Nota pastorale sulla famiglia e sui Dico equivale al fischio che emette il pastore per dare ordini alle pecore (e ai cani da pastore).
Un richiamo all’ordine, in perfetto stile autoritario. Fot*endosene allegramente del Concordato e d’ogni minima norma di civile convivenza.
I politici che si definiscono cattolici e che si prostrano agli o r d i n i che provengono dalla monarchia d’oltretevere dovrebbero dimettersi.
In tempo di guerra si chiamerebbe intelligenza col nemico…
A quando i politici cattolici saranno moralmente tenuti a votare a favore di un disegno di legge che tolga il diritto di voto (e gli altri diritti civili) agli atei? In fondo “sarebbe incoerente quel cristiano” che accettasse l’ateismo come ammissibile…
FILOLAO E DIOCLE. UNA COPPIA DI FATTO OMOSESSUALE NELLA GRECIA ANTICA.
Ne parla Aristotele, nel libro II della Politica, enumerando i più importanti legislatori della tradizione delle città stato greche:
Anche Filolao corinzio fu legislatore dei Tebani. Apparteneva Filolao alla stirpe dei Bacchiadi ed era divenuto amante di Diocle, il vincitore dei giochi di Olimpia: quando poi Diocle abbandonò la sua città, abominando l’amore della madre Alcione, si trasferì a Tebe ,ove entrambi finirono la vita. Ancor oggi mostrano i loro sepolcri ben visibili l’uno dall’altro, ma l’uno guarda verso la terra corinzia, l’altro No. A quanto si racconta disposero essi stessi così le loro tombe. Diocle, per odio contro la passione materna, affinché la terra corinzia non si vedesse dal tumulo, Filolao invece affinché si vedesse. Per tale motivo, dunque, abitarono tra i Tebani e Filolao dette loro varie leggi(…). Aristotele, Politica II, 12, 1274 a-b
Dunque il nobile Filolao, discendente dell’illustre famiglia dei Bacchiadi e il campione olimpico Diocle, entrambi di Corinto, non solo erano amanti, ma costituivano altresì una coppia stabile e convivente, come dimostra il fatto che quando Diocle fu costretto ad abbandonare Corinto perché perseguitato dalle vergognose pretese erotiche di sua madre, Filolao lo segui, in modo che i due abitarono a Tebe per tutto il resto della loro vita, facendosi anche seppellire vicini, l’uno di fronte all’altro. Aristotele riporta questa notizia biografica in maniera del tutto naturale, senza che si possa credere che per lui stesso o altri del suo tempo, l’unione e la convivenza stabile di due maschi potesse essere causa di scandalo, di meraviglia o di vergogna. Mentre, al contrario, l’amore erotico della madre viene rifiutato dal figlio Diocle in quanto lo ritiene vergognoso. Né il fatto di aver convissuto con un uomo in alcun modo sembra scalfire agli occhi di Aristotele la dignità della figura di Filolao, ricordato appunto tra i grandi legislatori della storia greca. Peraltro, la sua relazione omosessuale viene citata soltanto per giustificare come mai questo nobile originario di Corinto fosse finito a fare leggi per la città di Tebe e non perché Aristotele veda in questa vicenda biografica qualcosa di eccezionale, qualcosa che meriti di essere ricordato per la sua anomalia o per la sua stranezza. Da questo si può evincere che nella Grecia antica e anche nel periodo ellenistico le unioni stabili tra omosessuali maschi fossero tutt’altro che una rarità.
Marja H APOSTATHS
Se i cattolici non se la sentono di servire l’Italia per non disobbedire al Papa, non facciano i politici.
Oddio, sarebbe un addio al caxxeggio strapagato;-)