La stagione della responsabilità

Va riconosciuto che la tanto attesa e temuta Nota del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana è essenzialmente pastorale, non prevede costrizioni né sanzioni e, quindi, non appare come «una clava» calata sui cattolici impegnati in politica. Il cardinale Poletto ha voluto spiegarla e accompagnarla dicendo che essa non è «contro» qualcuno, ma è stata stesa per sottolineare una fondamentale verità antropologica ed è affidata alla coscienza di tutti, affinché si proceda a un autentico discernimento in vista delle scelte che soprattutto i politici devono operare: un messaggio che non è politico ma che tende alla formazione, all’illuminazione delle coscienze. Appare così quella «pastoralità» che il cardinale Bertone, segretario di Stato, aveva indicato come urgente ed essenziale per il delicato servizio della Cei al suo presidente, l’arcivescovo Bagnasco. Rincresce che il documento – che, essendo stato autorevolmente annunciato, non poteva non essere edito – non sia stato però sottoposto a tutti i vescovi italiani, come da alcuni di loro era stato chiesto: forse l’occasione dell’annuale assemblea generale è apparsa troppo lontana nel tempo. In tal modo non si sono per ora introdotti semi di divisione nel corpo ecclesiale e le minacce di contrapposizioni e polemiche sono state scongiurate.

Tuttavia, viviamo in una stagione e in una società la cui complessità richiede da parte di tutti e di ciascuno un’assunzione consapevole di responsabilità, di capacità cioè di «rispondere» in modo coerente con i propri principi agli interrogativi antichi e sempre nuovi che la vita quotidiana e la convivenza civile non cessano di porre. […]

Questi cristiani impegnati in politica, che «non sono – ha scritto il cardinale Bertone – la longa manus della Santa Sede o della Cei, hanno il compito di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità». Nessuno può sostituirsi alla coscienza personale, là dove l’essere umano coglie e riconosce l’esperienza di Dio, anche se ogni cristiano deve sforzarsi affinché essa sia sufficientemente informata soprattutto nel confronto con la comunità ecclesiale e i suoi pastori. Compito arduo che potrebbe portarli anche a scelte sofferte e laceranti, come quelle ventilate dall’enciclica Evangelium vitae di fronte a opzioni legislative su un argomento ben più radicale di quello dei diritti e doveri dei conviventi. Così la già citata nota dottrinale riprende le affermazioni di Giovanni Paolo II: «Nel caso in cui non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista già in vigore o messa al voto, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e nota a tutti, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica».
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In conclusione, ci augureremmo che la Cei si esprimesse di più e con parresia – sempre restando sul terreno profetico pre-politico – su temi come quello della giustizia e della legalità, dove sono in gioco i cardini stessi dell’ordinamento civile, o su quello della pace e della guerra che concerne la vita stessa di intere popolazioni. Solo così non si avrà l’impressione che l’attenzione pastorale si concentri solo su questioni di etica privata, legate in particolare alla sessualità, evadendo le questioni cruciali attinenti all’etica pubblica: i non cristiani comprenderebbero maggiormente la «differenza cristiana» e i cristiani non sarebbero contestati perché troppo rilevanti su alcuni temi e troppo sordi o assenti su altri.

Il testo integrale dell’articolo di Enzo Bianchi è stato pubblicato sul sito de La Stampa