Perché non importa quante divisioni ha il papa

Mio nonno, che aveva esordito nella vita pubblica fondando un “Fascio anticlericale Francisco Ferrer”, pretendeva dai credenti di famiglia il più rigoroso rispetto dei precetti di Santa Madre Chiesa. Credere, diceva, non è obbligatorio. Ma se si decide di credere, bisogna essere coerenti.
Mi è venuto in mente leggendo l’editoriale del Foglio del 30 marzo, e vedendo a Otto e mezzo Giuliano Ferrara rimproverare a Ermanno Olmi la sua diffidenza per il Verbo e la sua confidenza con la Carne. Neanche per il Foglio essere cattolici è obbligatorio. Ma chi lo è deve sapere che «il cattolicesimo non è un supermarket nel quale si prende quel che serve e si lascia il resto». A prima vista, non fa una grinza. Ma è un paralogismo se applicato a chi crede che verbum caro factum est, e non viceversa. Per cui sa che perfino ai tempi del mercato delle indulgenze la logica di scambio è rimasta sostanzialmente estranea alla vita della Chiesa.
Del resto nel decennio peggiore del pessimo secolo ventesimo Georges Bernanos ci ricordava che per i curati di campagna «tutto è grazia». E quando la lettura del Vangelo era almeno altrettanto assidua della lettura delle note vescovili ci si stupiva per l’ingiustizia retributiva di cui godevano gli operai dell’undicesima ora. Finché, con l’aiuto di qualche curato di campagna, non si comprendeva che il bello del cristianesimo era proprio quello, e si cominciava a distinguere la logica della Città di Dio da quella della Città dell’uomo, nella quale «nessun pasto è gratis».
Nella Chiesa, invece, è tutto gratis, e lo Spirito soffia dove vuole. Un ateo, per quanto sia devoto, comprensibilmente fatica ad accettarlo. E fa ancora più fatica ad accettare che è proprio per questo, e non per la superiorità delle teorie di monsignor Sgreccia rispetto a quelle del professor Lysenko, che la Chiesa ha sconfitto per venti secoli i suoi avversari, comunismo compreso. E che per questo, e solo per questo, al papa non importa sapere di quante divisioni dispone.
La libertà di coscienza del cristiano, quindi, non è un beneficio graziosamente octroyè dalla gerarchia, ma è l’elemento costitutivo della stessa comunità dei credenti, gerarchia compresa. Perciò, fra l’altro, la Chiesa è generalmente poco affidabile come fondamento di un ordine civile. Mentre è sicuramente affidabile per il continuo incivilimento dell’uomo, che di qualsiasi ordine civile è la premessa. Lo sanno, meglio degli atei devoti, i cattolici disobbedienti. Che per questo, fra l’altro, non si stupiscono oggi della testimonianza di rispetto della sacralità della vita fornita proprio da chi, come Nino Andreatta, dagli “atei devoti” ha messo per primo in guardia i cattolici italiani. […]

Mentre alle gerarchie può capitare non solo di confondere i codici linguistici, come da ultimo è capitato sabato a monsignor Bagnasco, ma di incrinare l’ineffabile potenza di una Chiesa fondata sul paradosso cristiano della parola che si fa carne, e che proprio per questo deve essere usata almeno con lo stesso rigore con cui giustamente si pretende che venga usato il seme dell’uomo, che né va disperso, né va collocato in vasu improprio, se si vuole evitare sia il peccato di Onan che quello di Sodoma. Sempre che si voglia parlare anche di cose serie, oltre che del family day, dei Dico, degli assestamenti di potere in seno alla Cei e delle fortune politiche dei teodem.

Il testo integrale dell’articolo è stato pubblicato sul sito de Il Riformista

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5 commenti

Marco G.

Per quanto Giuliano Ferrara possa essere una grande faccia di tolla, anche alla faccia di tolla c’è un limite. Non essendo lui personalmente cattolico, anzi non essendo neppure credente, non può spingersi fino al punto di affermare che essere cattolici in Italia è obbligatorio. Anche se in Italia si trovano molti disposti a bersi la storiella del “Bagnasco frainteso”, persino a questi sarebbe difficile far passare un ateo che dice “non possiamo non essere cattolici”. Oppure sì? Il “finto colto” articolista del Riformista non appare in grado di “cogliere” neppure questa piccola discrepanza… In realtà, in un paese laico quello che non fa nessuna differenza è quale religione una persona segua, o se ne segua una o nessuna, e neppure quanto appaia “coerente” o meno. Se ci possono essere atei “incoerenti” come sono senza dubbio quelli “devoti”, non si vede perchè i cattolici incoerenti dovrebbero costituire un problema…

Bart

L’agnostico o/e l’ateo per definizione non potrebbe essere “incoerente” con la sua “dogma” per il semplice fatto che non esiste una “dogma” per l’ateo.
Ma per un credente, mi pare logico, ma forse mi sbaglio, la coerenza dovrebbe essere d’obbligo dato che deriva dalla parola di “dio” che per quanto capisco io da ateo dovrebbe essere assolutamente non discutibile.
Poi è ovvio che ogni uno di noi è libero di sparare la cazzata che li piace..

asd

I cattolici alla Ermanno Olmi, pieni di timore di dio ma comunque in grado di usare la ragione quando si tratta di criticare la chiesa, meritano rispetto. Al contrario, i “devoti” alla Giuliano Ferrara, intolleranti a priori con chiunque non condivida la loro ideologia filocattolica, meritano solo di essere mandati a scuola di laicità…

archibald.tuttle

“confondere i codici linguistici, come da ultimo è capitato sabato a monsignor Bagnasco”

ah giusto, perche gli omosessuali e i pedofili sono codici linguistici, certo…

forzalube

Da “Ma è un paralogismo…” in poi non non ho capito una mazza di questo articolo. Che voleva dire?

Per Marco G.: C’è scrittto “Neanche per il Foglio essere cattolici è obbligatorio”. Non il contrario.

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