Buddismo hip hop

È più sexy di Sting da giovane, è bello come un essere sovrannaturale, canta come un dio: è Singha Rinpoche, monaco tibetano che ha trovato un modo singolare di insegnare la via del Buddha. I ‘rinpoche’ appartengono alla scuola Vajrayana, fiorente in Tibet fino all’invasione cinese, e sono la reincarnazione di lama di livello spirituale elevato.
Per oltre 2 mila anni i rinpoche hanno vissuto nei monasteri degli altopiani dell’Himalaya senza acqua, senza luce, senza riscaldamento, protetti solo da canti e mantra salmodiati dalle quattro di mattino fino a notte. I loro beni? Una ciotola per il cibo che gli offrono e i panni di cui vestono. Ma il bel Singha sta scuotendo l’Asia. L’anno scorso ha pubblicato un libro, ‘This is me’, che non parla certo dell’annullamento dell’ego. Non contento, ha inciso un cd di canzoni hip hop e rap in cinese, in tibetano e in inglese, ‘Wish you well’, lanciato sul mercato asiatico con video e spot su Mtv.
Il ‘Buddha vivente’ ha fatto molti tour promozionali, ma a metà febbraio gli è stato proibito l’ingresso a Taiwan: la sua condotta viola alcuni precetti dei monaci come evitare il lusso e non comportarsi da rockstar. Ma Singha sostiene di promuovere il buddhismo e, forse, ha ragione: il Vajrayana non insegna che ciò che ostacola il percorso all’Illuminazione – il vino, la carne e il sesso – può diventare un mezzo di liberazione?

Fonte: Espresso

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6 commenti

Claudio De Luca

Il Buddhismo sembre essere ossessionato dal tema centrale del dolore. Come, del resto, le religioni propriamente dette. Al di là delle tendenze, delle mode e del costume, mi pare si possa dire che: si, certamente in questo sistema filosofico esiste un margine di tolleranza dottrinale ben più ampio ed articolato rispetto ai monoteismi. Ma certo, l’ossessione per il cosiddetto “vuoto” mentale, quale condizione per raggiungere una soglia di non identificazione e non coinvolgimento col mondo fenomenico, mi lasciano molto perplesso.

ric86

Concordo con la perplesità di Claudio, tuttavia apprezzo del buddhismo i principi generali e la condizione mentale che è quella per cui le gesta del Buddha non vanno prese dal punto di vista storico ma letterario, su di esse bisogna essere ispirati poeticamente. Ricordo che esiste un buddhismo ateo, cioè un sistema filosofico che rintraccia principi etici per il benssere e la realizzazione della persona senza necessitare di un entità spirituale storicamente presente. è chiaro che poi esistono pure i fanatici di questa “religione debole”, ma io credo che se deve avanzare una religione che faccia meno male possibile all’umanità, questa è il buddhismo, religione meno in contrasto in assoluto con la modernità e la scienza.

gianni

il buddhismo non esalta il dolore, anzi indica la via per sconfiggerlo, il Buddha consigliava la via di mezzo, quindi niente eccessi da fachiri e niente eccessi da gaudenti, ma una vita consapevole e presente a se stessa sempre e ovunque, purtroppo come succede spesso, poi ognuno interpreta le parole di una qualsiasi autorità morale a modo suo, e adesso è forte la tendenza a fare del buddhismo una moda e un oggetto di consumo, e proprio perchè il buddhismo è per sua natura tollerante certi personaggi possono farne quello che vogliono, finchè la moda dura.

Joséphine

@ Claudio de Luca

Qualsiasi religione è nata proprio per sconfiggere o quantomeno dare una spiegazione al dolore.
Una persona felice non ha bisogno di religione.

Taeri sunim

L’enfasi posta in alcuni insegnamenti buddhisti su Dukkha ( sofferenza, insoddisfazione) ha portato alcune persone a ritenere che il Buddhismo sia un insegnamento prevalentemente pessimista. La prima delle quattro Nobili Verità spiega così dukkha:

“ La nascita è dukkha, il decadimento è dukkha, la malattia è dukkha, la morte è dukkha. Essere vicini a chi è spiacevole è dukkha, essere separati da chi si ama è dukkha; non riuscire ad ottenere ciò che si desidera è dukkha; perdere ciò a cui si è affezionati è dukkha,; dolore, amarezza, lamento, disperazione sono dukkha. In breve l’attaccamento ai 5 aggregati è dukkha”
In alcuni Sutra del canone Pali, dukkha viene ulteriormente analizzato e classificato in tre generi:

Dukkha ordinario
Dukkha dovuto al cambiamento
Dukkha dovuto al condizionamento.
Il primo riguarda certe esperienze comuni che facciamo nelle nostre vite ordinarie: malattie, delusioni, litigi , stress, droga, ecc..
Il secondo è dovuto al cambiamento delle situazioni piacevoli in spiacevoli.
Il terzo, più profondo e meno evidente, riguarda il dukkha che deriva dalle concezioni e credenze errate, come quella in un sé permanente, in un fato, in un entità superiore ecc. che generano attaccamento e senso di possesso.

Coloro che definiscono il Buddhismo una religione pessimistica, basandosi solo sulla Prima Nobile Verità, non hanno compreso il vero senso del Dharma poiché cercano di comprendere le Quattro Nobili Verità separatamente. E’ un errore considerare la prima Nobile Verità separatamente dalle altre tre. Queste Quattro Verità sono interdipendenti e vanno prese come un insegnamento unico. Se nella prima si parla della natura di dukkha, nella seconda se ne spiegano le cause che la generano; nella terza si parla dello stato di incondizionata beatitudine che sorge dal suo superamento e nella quarta il sentiero che porta a tale stato di gioia e beatitudine incondizionata.

Così si vede che, sebbene il Buddhismo parli di Dukkha, non significa che neghi la felicità, Sukha. Infatti il suo scopo ultimo è quello di portare l’individuo a realizzare la felicità suprema ( parama sukha) o Nirvana. E non solo di questo tipo di felicità si parla nel Buddhismo, ma di vari tipi di felicità mondane. Nei Sutra si parla ampiamente della felicità di colui che diventa monaco (pabbajita sukha) e di quella di colui che persegue la vita laica (gihi sukha). Nel Sigalovada Sutta, l’insegnamento dato al milionario Anathapindika, sono menzionati quattro tipi di felicità per il laico:

1) avere un reddito sufficiente
2) gioire dei propri beni
3) libertà dai debiti
4) condurre una vita inoffensiva
Ma il Buddha, avendo analizzato e compreso in profondità la natura mutevole di tutte le cose e della felicità stessa, mette in guardia dal fare l’errore in cui tutti solitamente cadono: l’attaccamento alle esperienze piacevoli e spiacevoli. Egli ha parlato della felicità, del gioire di essa, ma anche del non attaccarvisi.

Un altro aspetto dell’insegnamento che contraddice la visione pessimista è quello del Karma. La profonda consapevolezza che le azioni, i pensieri e le parole degli esseri umani siano governate dalla legge di causa ed effetto fa sì che non ci si rassegni mai all’idea di un destino prestabilito, di un fato inesorabile o di un disegno insondabile, ma che si cerchi di agire e migliorare le cose con il proprio sforzo e impegno nel momento presente, guidati dalla luce della saggezza interiore e dalla compassione.

Questo mostra chiaramente che il Buddhismo non solo non è pessimista, ma dà una giusta importanza alla felicità, spiegando quale ne sia la natura e quale il modo di ottenerla, pur avendone una visione profondamente realistica e non solo un’idea legata all’effimera contentezza di un benessere superficiale.

Taeri Sunim

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