Le lucciole sono scomparse e il potere non lo sa

Liberazione pubblica, ritenendolo attualissimo, un lungo articolo scritto da Pier Paolo Pasolini nel 1975.

La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale Il Politecnico , cioè all’immediato dopoguerra…». Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ( L’Europeo , 26-12-1974) che sottoscrivo tutto e pienamente. Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra “fascismi” fatta sul Politecnico non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa, è successo “qualcosa”. “Qualcosa” che non c’era e non era prevedibile non solo ai tempi del Politecnico, ma nemmeno un anno prima.
Il confronto reale tra “fascismi” non può essere dunque “cronologicamente”, tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel “qualcosa” che è successo una decina di anni fa. […] Nei primi anni ’60, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. In pochi anni le lucciole non c’erano più. […]

Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.
Prima della scomparsa delle lucciole
La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel Politecnico: la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. In tale universo i “valori” che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l’obbedienza, la disciplina, l’ordine, il risparmio, la moralità. Tali “valori” (come del resto durante il fascismo) erano “anche reali”: appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l’Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a “valori” nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle elite che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani.
Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. […]

Essi [gli Italiani] sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo.[…]
Ho visto dunque “coi miei sensi” il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere “totalitario” iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I “modelli” fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima. […]

Oggi in realtà in Italia c’è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé.
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, “come ci sono giunti gli uomini di potere?”. […]
Essi [gli uomini di potere democristiani] si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. […]

10 commenti

Ernesto

Tutta la storia d’Italia dalla Controriforma in poi è stata caratterizzata da “atroce, stupido, repressivo conformismo” e “Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle elite che, a livello diverso, delle masse”. Non vorrei che sembrasse fanatismo ateo, ma la colpa a mio avviso è sempre del cattolicesimo. Fenomeni di degradazione sociale si sono verificati in occidente dovunque il cattolicesimo abbia prevalso, e non altrove. Basta vedere la differenza fra America Latina e Stati Uniti-Canada, o fra Europa meriodionale e settentrionale.

Claudio De Luca

Personalmente sono contrario a semplificare i concetti.
Il fascismo é stata un’esperienza ben caratterizzata, non assimilabile a fenomeni politici successivi.
L’uso promiscuo del termine “fascismo” e “fascista” non mi sembra razionale, né rende onore alla verità storica.

ric86

Renzo de Felice, uno dei più grandi storici del fascismo ha detto che
LA CONSEGUENZA PIù GRAVE DEL REGIME FASCISTA è QUELLA DI AVER RADICATO NEL POPOLO ITALIANO UNA MENTALITà FASCITA.

Ne convegno…voi?

Leo55

@ric86

Secondo me, caro ric, il problema si pone solo in termini .
Ciò che noi comunemente chiamiamo fascismo, facendolo discendere dai noti fatti del ventennio Mussoliniano, in realtà non è altro che l’esplicazione culturale di un popolo che nella sua storia si è sempre rannicchiato in vuote metafore religiose, cullando nel suo seno tutti i peggiori retaggi del tradizionalismo più bieco ed arretrato in chiave utilitaristica e opportunistica.

Si ricordi l’adagio: “con la Franza o con la Spagna, purchè se magna”…….rispecchia fedelmente la logica dei popolari italici che successivamente confluivano nelle orde barbariche sanfediste, sempre pronti a innegiare il papa o il re, a linciare l’intellettuale in cui si rinveniva il “diverso”, contro sempre a tutto ciò che poteva rappresentare elemento di cambiamento reale in un mondo arcaico ma dotato di punti cardinali rassicuranti: Dio, patria, famiglia, onore.

Il fascismo, in questo contesto, non ha apportato significativi mutamenti culturali. Il tessuto sociale e culturale degli italiani non ha subito più di tanto gli influssi della retorica del Duce: in fondo di vuota retorica patriottarda si era vissuto fin dall’unificazione d’Italia.

Claudio De Luca

@ric, @leo:
De Felice é un grande storico, indubbiamente, ma il significato di questa frase mi pare alquanto nebuloso.
Vero é, che in Italia non si é mai aperto un serio ed approfondito dibattito interno, a differenza della Germania.
Qualcosa sembra muoversi da qualche anno a questa parte, ma si tratta di un dibattito a livello “embrionale”.
Per quanto riguarda l’ultima frase di leo, devo dire di non condividerla.
Considerata l’epoca, lo stato liberale unitario possedeva una cultura democratica relativamente avanzata.

Leo55

@Claudio

L’argomento si presta ad essere approfondito. Io mi limito a fare un’osservazione di tipo sociologico che tenga conto, essenzialmente , della cultura generalmente dominante nelle popolazioni italiane, attardate nel processo di sviluppo economico e sociale da secoli di dominio straniero, più interessato alle gabelle che all’amministrazione dello stato.
In questo panorama desolante la vera leva culturale degli italiani è rinvenibile, come dato unitario, nella morale degli insegnamenti cattolici, con il suo nefasto corredo di dogmatismi e arretratezze che hanno plasmato l’intelletto di generazioni di italiani sino ai giorni nostri.

Il fascismo come fatto culturale, ha solo usato strumentalmente un tessuto sociale pre esistente, non apportando significative modifiche al quadro generale dei valori di riferimento.
In questo contesto, giova non farsi fuorviare da ciò che il fascismo ha rappresentato come facciata, con i suoi simbolismi retorici, peraltro non nuovi, con le sue parole d’ordine e il suo sciovinismo, molto italici, come tipicamente italici erano e sono tuttoggi , molti comportamenti fanfaroneschi da cui stentiamo ancora a liberarci.

Per quanto riguarda una lettura della situazione italiana dell’ottocento e del novecento:

http://www.polyarchy.org/basta/documenti/ferrero.1942.html

Leo55

Riporto, inoltre un estratto:

“In conclusione il mito del fascismo invisibile —perché inesistente o perché indistinguibile da altre dottrine sociali— trae fondamento dall ‘idea che il ventennio ha rispettato o eventualmente svecchiato i fondamenti della cultura liberale e che pertanto esso non ha pervertito i fondamenti del sistema economico occidentale.

Questa circostanza è stata dimostrata —dal punto di vista della realizzazione pratica dei programmi enunciati dal fascismo— fin dai primi anni trenta. Lo si ricava ad esempio dalla dottrina che ha descritto la politica economica del ventennio come fautrice di un capitalismo più “ordinato” e “ossequiente ma non prono alle esigenze dittatoriali e conservante i suoi due attribuiti fondamentali: proprietà privata, profitto”

Per ulteriore approfondimento:
http://www.juridicas.unam.mx/publica/rev/boletin/cont/112/art/art8.htm

Claudio De Luca

@leo:
Interessanti i tuoi contributi: ora comprendo meglio cosa intendevi affermare col tuo primo post sulla’argomento.
Si, in linea generale condivido.
Aggiungerei una breve osservazione: l’Italia raggiunse tardi la propria unità nazionale ed adoperò strumentalmente (come continua a fare) la religione cristiana cattolica come fattore di coesione identitaria, quale collante antropologico e culturale.

forzalube

Secondo me l’articolo è stato tagliato un po’ troppo

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