L’immenso puzzle per ricomporre l’albero della vita si arricchisce di un nuovo, importante tassello: gli scienziati hanno sequenziato ed analizzato il genoma del macaco, differenziatosi dall’uomo 25 milioni di anni fa, scoprendo che l’uomo condivide con il lontano cugino il 97,5 per cento dei geni. Una collaborazione internazionale, che ha impegnato oltre 170 scienziati di 35 istituzioni, cui l’ultimo numero di Science dedica cinque articoli.
La scoperta promette di schiudere nuovi orizzonti per la ricerca medica in aree diverse, dall’Hiv alle malattie cardiovascolari, e di aiutare a comprendere l’evoluzione dell’uomo. “Più la sperimentazione animale si avvicina all’uomo, più è efficiente – spiega a Repubblica.it il dottor Mariano Rocchi, dell’Università di Bari, uno degli scienziati che hanno lavorato al progetto -. “E’ utile, ad esempio, per creare farmaci specifici, mirati, che interagiscono solo con determinate proteine chiave in alcune malattie”.
Ma questo è solo uno degli aspetti: dai dati di questa enorme comparazione, gli scienziati si attendono progressi dalle neuroscienze alla biologia comportamentale, dall’endocrinologia alla fisiologia riproduttiva. Il macaco infatti, è fisiologicamente simile all’uomo ed è considerato il modello animale migliore per studiare, fra gli altri, il virus dell’Hiv, e per portare avanti la ricerca dei vaccini. Comprendere a fondo il suo genoma e individuare dove si rivela differente da quello umano significa far luce sull’evoluzione dell’uomo, con importanti ripercussioni per la ricerca medica.
Il macaco è terzo primate il cui genoma è stato completamente sequenziato. E se la decifrazione del genoma umano nel 2001 ha aperto la strada ad un campo fertile, gli scienziati hanno sempre saputo che indicazioni ben più fruttuose si sarebbero avute mettendolo a confronto con quello dei nostri “cugini” primati, sottolinea Richard Gibbs, del Baylor College of Medicine di Houston, Texas, coordinatore del progetto.
Così ora sono stati identificati circa 200 geni ritenuti potenziali candidati per determinare le differenze tra le diverse specie emerse durante l’evoluzione. Si tratta di geni implicati nella formazione dei capelli, nelle risposte immunitarie, nelle proteine della membrana e nella fusione sperma-uovo. “Prima di questo lavoro, analisi di questo tipo erano concentrate sull’uomo e sullo scimpanzé, che sono così vicini da renderlo non così interessante”, spiega Adam Siepel, uno dei coordinatori delle ricerche all’università Cornell negli Stati Uniti. “Il macaco ci dà la possibilità di distinguere in modo più sottile la pressione esercitata dalla selezione naturale”.
“E’ molto importante capire quando certe variazioni sono avvenute nel corso della storia dell’evoluzione. C’è uno zoccolo comune alla vita che accomuna specie molto distanti fra loro”, dice ancora Rocchi, il cui gruppo di ricerca, all’ateneo di Bari, ha contribuito al lavoro internazionale con una ricerca specifica sui centromeri – una sorta di punto di aggancio da cui dipende il buon funzionamento della complessa coreografia della divisione cellulare -, identificandone nove che nel macaco hanno cambiato posizione. Come si originano e perché rimane ancora un mistero ma i genetisti stanno cercando di individuare tutti gli elementi in grado di spiegarne appieno la funzione.
“Stiamo vivendo un’epoca eccezionale per capire cosa è stata la vita sulla terra e quello che si sta componendo è un enorme mosaico attraverso il quale stiamo cercando di ricostruire la nostra storia”, commenta ancora Rocchi.
Già nel 2005, il sequenziamento del genoma dello scimpanzè ha permesso di stabilire che l’uomo con questo primate condivideva il 99 per cento del materiale genetico. Ora, l’analisi del codice della vita del macaco darà nuovo impulso allo studio delle malattie genetiche nell’uomo.
Qualcuno dei nostri politici nonchè i membri dei vertici ecclesiastici condividono il 100% dei geni con il macaco. Naturalmente i macachi protestano sostenendo che è un’eresia che certe simil creature abbiano tanta parentela con loro! Unendomi alla profonda tristezza di questi nobili primati, spero che i suddetti umanoidi vengano presto catturati per essere sottoposti ad esperimenti di laboratorio per la ricerca sul gene della demenza!
Stefano,
in effetti i nostri sono macachi difettosi. Dev’essere il clima mediterraneo, non particolarmente adatto alla specie. Forse un giorno si potranno prevenire malattie genetiche dei macachi ma con malformazioni gravi (mastellite, binettite, ecc.) la vedo dura…
99% lo scimpanze’, 97,5% il macaco? Pure coincidenze! Poiche’ gli artt. 105 e 107 del catechismo della c.c. sostengono che la bibbia riporta “fermamente, fedelmente e senza errore la verità”, l’origine dell’uomo va cercata in Adamo ed Eva, non in tutte quelle bugie che ci propinano geologi, biologi, fisici, chimici e miscredenti vari.
(Devo ricordarmi di buttare via il mio diploma di laurea, metti mai capitasse un’ispezione vaticana…)
“Ora, l’analisi del codice della vita del macaco darà nuovo impulso allo studio delle malattie genetiche nell’uomo”
Mi sa che dovrò scrivere un’altra lettera a La Repubblica per invitare i loro giornalisti scientifici a chiarirsi le idee sulla differenza fra codice genetico (insieme di regole) ed informazione/patrimonio genetico !!!
A parte questo dettaglio, …. TREMATE, TREMATE LA SCIENZA STA ARRIVANDO….
Innanzitutto che Mastella, Bindi, (autrice di “Il nostro sconcerto”), Binetti,…, possano avere a che fare con i geni è palesemente assurdo. Poi gia’ sappiamo qual è l’ origine di tutto: la famiglia di Adamo ed Eva, dove, visto che Eva era l’ unica femmina in giro, necessariamente si praticava l’ incesto con Caino. Quindi di che si lamentano a Vaticalia ?
@Marforio:
Forse trovano una cura anche per te!!! 😆
Ora riusciranno a sequenziare anche quello dei politici cattolici ?