L’«altra Turchia», quella dimenticata. Quella che da quasi cent’anni si batte per assomigliare di più a noi e che da un paio di decenni rischia invece di riscivolare lontano, nel grembo che il suo grande leader del XX secolo, Kemal Atatürk, considerava un baratro: quello dell’identità nazionale negata, annullata nel gran brodo di un comunitarismo islamico. Quella Turchia che da decenni sta perdendo la maggior parte delle sue battaglie, che vede erosi o minacciati l’uno dopo l’altro i pilastri del suo Risorgimento. È di fronte alla prospettiva di veder demolito o almeno minato il penultimo dei suoi pilastri che questa Turchia è scesa in piazza, a centinaia di migliaia, sventolando bandiere nazionali, slogan turchi, ricordando eroi turchi e non islamici. L’ha fatto ad Ankara giustamente perché quella città nuova e brutta cresciuta nel cuore dell’Anatolia è l’alternativa alla stupenda, eterna Istanbul.
La città voluta da Atatürk contro la metropoli ottomana riconquistata da Recip Tayyip Erdogan, roccaforte mediorientale su un lembo di terra europea mentre Ankara vuole essere il caposaldo europeo in Asia. La Turchia laica, quella che non si vergogna di esserlo e di proclamarsi tale, registra la sua protesta contro un evento incombente che non ha la forza di scongiurare: la successione di Erdogan stesso ad Ahmet Necdet Sezer, il presidente della Repubblica il cui mandato scade in maggio, e che è l’ultimo «pezzo di Turchia» rimasto intero, anche se non intatto, sull’orlo del crogiuolo neointegralista. Se Erdogan si candiderà, è favorito, come lo è stato negli altri due passi importanti della sua carriera: da sindaco di Istanbul a primo ministro. Egli è considerato un moderato, ma nella migliore delle ipotesi potrà soltanto «moderare» il passo della involuzione del suo Paese.
Agli eredi di Atatürk, ai laici, non resterebbe allora che sperare negli «amici» a occidente del Bosforo. Contro l’esperienza, perché quegli amici non solo non alzeranno un dito per aiutarlo, ma hanno dato finora una mano ai suoi avversari. Quei turchi difendono il loro Stato «secolare», l’Europa indebolisce il proprio spalancando le porte non ai popoli del Medio Oriente, ma alla loro ideologia integralista. Atatürk aveva abolito il velo, le metropoli europee ne sono invase ed è isolata semmai la Francia che lo bandisce, almeno negli uffici pubblici. […]
Il testo integrale dell’articolo è stato pubblicato sul sito de Il Giornale
Tanto l’entrata della turchia sarà sottoposta a referendum popolare in Francia, dunque c’è tempo per pensarci. Con la crisi che hanno in casa i francesi molto probabilmente diranno no alla turchia come hanno fatto con la costituzione europea. Pure la scuola pubblica è in crisi:
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/13-Aprile-2007/art28.html
Obiettore e omosessuale, rischia il carcere in Turchia
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Aprile-2007/art45.html