“Ciò che i dibattiti sulla libertà di coscienza, sull’eutanasia, sulle cellule staminali e sull’evoluzione hanno in comune è la collisione fra una visione della vita religiosamente ispirata e l’ordinamento dello stato”.
Lo afferma John C. Green, membro del centro di ricerca americano Pew Forum on Religion and Public Health. Negli ultimi anni, infatti, si registra un incremento deciso dei dilemmi etici riguardanti il tema del rifiuto dei trattamenti sanitari, e più precisamente l’equilibrio fra la volontà del paziente nel richiedere o nel rifiutare interventi medici e la volontà dell’operatore sanitario nel somministrare, non somministrare o sospendere i trattamenti in questione (cfr. R. Stein, A Medical Crisis of Conscinece. Faith Driver Some To Refuse Patients Medictin or Care, “The Washington Post”, 16 luglio 2006).
In altri termini: deve prevalere il diritto del paziente a vedere rispettate le sue volontà (ad esempio sul mantenimento in vita a determinate condizioni) – indipendentemente dalle posizioni morali o religiose del medico – oppure bisogna garantire ai sanitari una piena libertà di coscienza nell’assecondare o meno le richieste del paziente?
L’opinione pubblica americana, invero sorprendentemente, è divisa sul punto: c’è chi sostiene la posizione secondo cui “il paziente viene prima di tutto” – obbligando il medico a prestare la propria opera in favore di ogni cura non illegale richiesta dal malato – e chi invece afferma che “la propria coscienza viene prima di tutto”, e che dunque deve essere possibile per qualsiasi operatore sanitario sottrarsi senza penalizzazioni o discriminazioni di sorta a pratiche che vanno contro i suoi valori personali.
Nel dibattito americano emerge tuttavia un errore di fondo, che spesso investe entrambe le posizioni, ovvero l’idea della coscienza personale come di un luogo meramente soggettivo in cui l’individuo crea autonomamente i valori – prendendoli eventualmente dalla tradizione religiosa di appartenenza – , e si trova poi ad affrontare il grave problema del conflitto con coloro che, nell’intimo della loro coscienza, hanno stabilito differenti gerarchie valoriali.
I due fronti del dibattito, dunque, riguardano quasi esclusivamente gli spazi di autorità di questa coscienza, oscillando fra il soggettivismo etico-religioso e il costruttivismo ideologico o il formalismo dogmatista.
Di tenore non molto differente è stato il commento del filosofo Galimberti al termine dei lavori dell’ultima assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, che riguardava per l’appunto il ruolo della coscienza. In un suo articolo apparso sul quotidiano “Repubblica” (26 febbraio 2007), Galimberti osservava: “Ma cos’è questa “coscienza”? E’ la dittatura del principio della soggettività che non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva e tanto meno delle conseguenze che ne derivano”. […]
Il testo integrale dell’articolo di Claudia Navarini è stato pubblicato sul sito di Zenit
ogni persona ha il diritto di decidere del proprio corpo e della propria vita, ecco perchè il paziente è quello che deve decidere, perchè è della sua vita che si sta parlando ed è il suo corpo che si sta manipolando, questo i dottori lo devono sapere chiaramente, e il paziente che deve decidere alla fine solo lui.
il medico deve essere in grado di fornire la cura migliore e spiegare al paziente quale è la cura migliore dal punto di vista scientifico.
se il paziente la rifiuta per ragioni personali devono essere puramente fatti suoi.
non vedo cosa c’entri o possa essere utile in tutto ciò l’asservimento di un medico a questa o quella confessione religiosa.
Alcuni testimoni di geova rifiutano le trasfusioni anche a costo di morire (ben venga, un coglione di meno), ma non lascerei mai morire un ragazzo sano perchè la madre non vuole andare contro il suo credo.
Aggiungo che rifiutare di salvarsi pur potendolo fare equivale al suicidio. Una religione che in ogni caso si accanisce sugli infortunati gravi…bah.
Forse il più grosso peccato che noi razionalisti e comunque di chiunque cerca di trovare un senso razionale e non dogmatico alle cose della vita è la pretesa della coerenza. Un pensiero religioso dogmatico, che basa la propria etica sul dogma o sulla teologia (che Shopenauer ci ricorda essere frutto della paura) è inevitabile sia incoerente. Il trucco delle fedi dogmatiche è mascherare le contraddizioni con sofismi e tautologie o non parlandone affatto o molto più spesso inculcando il senso di colpa in colui che si fa domande non autorizzate, inoltre e far sì che non venga mai meno quella paura fisiologica per quello che la vita sarà, estremizzandola e facendolo diventare il perno più saldo della fede.
Una matassa davvero difficile da dipanare… ric86@tele2.it
Ric hai msn?
Ti voglio quotare in diretta.
Ormai siamo alla schizofrenia più totale!
Pretendono, non solo dai loro fedeli ma da tutti, l’obbedienza più bieca e totale alle loro leggi religiose e poi istigano i loro fedeli ad esercitare la “libertà di coscienza” quando devono obbedire alle leggi dello stato!
ma come si diceva …. non c’è nulla di razionale, è fede!
Bruna, come ho gia postato in un’altro articolo, la chiesa invita all’obiezione di coscienza perche la coscienza della popolazione è spesso costruita, soggiogata e manipolata dalla stessa chiesa. Quindi queste persone, schiavizzate mentalmente fin dall’infanzia, non andranno mai contro la chiesa, che ritengono giusta e benevola, ma contro le altre istituzioni, spesso progressiste, provocando una forma di autolesionismo inconsapevole e utile al solo clero.
Medico obiettore la divinità ti perdona perchè la “colpa” è del paziente. Se credi che ti punirà perchè non sei stato obiettore si ricade nello schema classico per cui la chiesa ha la verità e cerca di imporla a tutti nella speranza di costituire quella società di giusti che si riconosce tutta nella religione cattolica e nel papa il suo capo. Insomma una tirannia della fede