L’intreccio inedito della questione antropologica e della questione politica costituisce uno dei tratti caratterizzanti il nostro tempo. Macrofenomeni come la trasformazione tecno-scientifica del mondo, la globalizzazione economica, il multiculturalismo mettono la politica in contatto con questioni antropologiche, religiose, etiche, giuridiche in un modo diretto e complesso come mai era avvenuto: la politica ha da decidere sempre più di temi e problemi che concernono l’identità umana concreta, il nascere e il morire, l’ammalarsi e il guarire, le appartenenze religiose e culturali, la riorganizzazione dell’intera esistenza lavorativa e degli stili di vita, la disponibilità delle risorse e il futuro della nuove generazioni, il rapporto all’ambiente, la pace, ecc.
Questo è uno dei motivi non secondari per cui il problema della «laicità» dello Stato e delle istituzioni pubbliche torna a essere centrale nel dibattito culturale e politico. In tal senso un testo come quello del card. Scola, Patriarca di Venezia, (Una nuova laicità. Temi per una società plurale, Marsilio) affronta il problema della natura e della struttura dello spazio pubblico della dialettica politica. È chiaro, infatti, che la decisività dei problemi in gioco – se non ci si rassegna a soluzioni autoritarie sempre possibili – esigono l’ampiezza di un dibattito pubblico in cui il pluralismo culturale e religioso sia pienamente rappresentato.
La laicità nell’occidente europeo, invece, fa problema, perché è ancora fortemente condizionata dalla sua storia anticlericale e antiecclesiastica, che ha pensato come garanzia dello spazio pubblico la neutralizzazione delle identità forti, soprattutto religiose; e spesso finisce per fare della laicità un’ideologia di esclusione. La laicità, invece, non è un’identità culturale, ma un metodo che permette la pratica reale della democrazia. Ciò che rende laico lo Stato non è l’esclusione delle identità religiose dallo spazio pubblico, secondo il modello della laïcité francese, o la pretesa di un’impossibile neutralità rispetto a valori etici, secondo una riduzione proceduralistica della democrazia, ma la sua non-confessionalità a garanzia attiva di un confronto pubblico, in cui ciascuno possa portare il proprio contributo.
Autorevoli studiosi, come il cattolico Böckenförde e il «laico» Habermas, concordano sul fatto che lo Stato liberale si regge sì sul consenso accordato a procedure, ma sorrette da premesse normative e assiologiche che l’istituzione pubblica non è in grado di alimentare. Fondamentale per una laicità autentica è dunque il riferimento alla «società civile» come realtà distinta dall’istituzione statuale, ma dotata della sua dimensione politica (di formazione dell’opinione pubblica e di elaborazione del consenso), in cui le identità culturali sono indispensabili e le religioni possono svolgere una funzione rilevante come soggetti pubblici qualificanti. […]
Il testo integrale dell’articolo di Francesco Botturi è stato pubblicato sul sito de La Stampa
Cosa non s’inventano per non ammettere che in italia c’è il problema esattamente opposto: l’occupazione confessionale delle istituzioni pubbliche (dei mass media, delle istituzioni sanitarie, della scuola…)
Quello che invece io intendo per laicità è proprio quella Francese…
IO MI ACCONTENTEREI DI ZAPATERO .
W LA SPAGNA .LORO DI LA. LO STATO DI QUA
assurdo per loro laicità dello stato vuol che lo stato deve genuflettersi alla chiesa, tutto il contrario.