Se la nonna amava un’altra donna

Avevano un libro, uno solo, da scoprire per scoprirsi: Il pozzo della solitudine di Radclyffe Hall, il romanzo lesbico per antonomasia, pubblicato in Inghilterra nel 1928 e quasi subito messo al bando, tradotto in Italia per la prima volta dall’editrice Modernissima. Segnalato dal passaparola, letto di nascosto, per molte rappresentò la presa di coscienza d’un sentire magari vago, ma condiviso. Ogni altro indizio era destinato al massimo a trasformarsi in «prova in assenza»: essere un’adolescente che non spasima per Tyrone Power e Rodolfo Valentino, provare compiacimento per il cravattino imposto dalla divisa fascista, interessarsi alla boxe, che sarà mai? Magari nulla che potesse essere messo in relazione con l’identità sessuale, in anni in cui né di sesso né d’identità si parlava.
Non avevano le parole per dirlo – per dirselo – e neppure riflessioni di genere alle quali attingere: al massimo modelli androgini (la bambina-maschio di Hall, appunto) e oggetti feticcio ai quali aspirare: i pantaloni, la cravatta, la bicicletta da corsa; non avevano eroine alle quali assomigliare, così vagheggiavano d’essere Robinson Crusoe, un pellerossa ardimentoso, magari Sandokan, Tarzan, tutti quanti i Cavalieri di Re Artù. Insomma non c’erano «lesbiche» nell’Italia del primo Novecento, più che altro fantasmi; c’erano amori tra donne, discontinui o durati tutta una vita, che non furono soltanto negati o non visti e in qualche caso perseguitati ma, peggio, «considerati irrilevanti come realtà umana e culturale». Unioni di fatto, allora come oggi, mai uscite dall’ombra; unioni Fuori della norma, ed è questo il titolo scelto da Nerina Milletti e Luisa Passerini per finalmente raccontarle, collocando quelle avventurose, faticose storie individuali all’interno della grande storia di genere e, meglio tardi che mai, dell’elaborazione femminista.
Pubblicato da Rosenberg & Sellier, il saggio (pagg. 241, euro 22) al quale hanno lavorato numerose ricercatrici – attraverso interviste, raccolta di testimonianze, lavoro paziente di collage su frammenti – fa però luce soprattutto sul desiderio che non riesce a definirsi, sull’esperienza taciuta da quelle stesse donne che oggi possiamo – ma con una certa fatica linguistica, ancora – definire lesbiche; sul loro diniego, ancora oggi, a definirsi e a essere definite. Fu Cordula Poletti, studentessa femminista di Ravenna, una delle poche a rivendicare, insieme alla parola, l’inclinazione. Una mosca bianca, allora. Sfrontata, seduttrice e, chissà, pure un po’ arrampicatrice, amò Sibilla Aleramo e, tumultuosamente, Eleonora Duse. Nietta Aprà, figlia di un facoltoso commerciante milanese, era considerata «molto moderna» per il suo atteggiamento, guidava l’auto, viaggiava, ma lesbica non ebbe a definirsi mai. Lei e la sua compagna Flafi vivevano insieme, nel piccolo paese di Cinzano, un Pacs ante-litteram, però «si comportavano come persone normali» secondo le testimonianze dei vicini di casa, che interpellati da Gabriella Romano hanno tutti tenuto a riferire l’assenza, nella casa delle due donne, di un letto matrimoniale. Da quel non detto che segnò tutta la sua esistenza, Nietta uscì solo da morta: la seppellirono con i pantaloni, lei che non s’era mai accordata il permesso di indossarli. […]

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2 commenti

Vassilissa

Chissà quante di loro avranno dovuto sposarsi e fingere tutta la vita , incapaci anche solo di dare un nome alla loro insoddisfazione, alla loro infelicità.
Ma l’apparenza era salva e questo bastava.

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