Caro Piero, te lo dico con affetto: fatico a capacitarmi. Lascerei da parte la «questione vaticana» di gramsciana memoria. Che pesi assai è un fatto, che chiunque governi la debba tenere in conto pure. Ma qui nessuno propone di ridurre il papa e la chiesa al silenzio o di impedire ai parroci di farsi sentire fuori dalle parrocchie. Qui si parla di laicità della politica e dello Stato, di valori cioè che dovrebbero accomunare credenti e non credenti; e di allargamento dei diritti di cittadinanza. E tu, di questo sono certo, ne sei convintissimo: basta pensare a come ti sei battuto per varare il ddl sui Dico, anche se ben prima della grande manifestazione di piazza San Giovanni sapevi, immagino, che non aveva (particolare non trascurabile) alcuna possibilità di passare in Senato. Hai aspettato però San Giovanni (e naturalmente anche piazza Navona, a tuo giudizio minoritaria, laicista, e convocata soprattutto per mettere i bastoni tra le ruote a te e al Pd) per farci sapere che, a impiccarsi alla formula “o Dico o morte”, si rischiava di diventare subalterni. Bene, mi sono detto, adesso Piero ci dirà come fare (ancora Antonio Gramsci) a diventare egemonici. Poche ore, e ci hai spiegato come: sedendoti a un tavolo con Savino Pezzotta, che si è dichiarato disponibile al riconoscimento dei diritti attraverso alcune modiche al Codice civile, per vedere insieme quali articoli si possano modificare. […]
A sentirtelo dire adesso, dopo San Giovanni, non siamo esterrefatti solo noi rompiscatole del Riformista ma, credo, tanti tuoi compagni e tanti tuoi elettori che della promessa del Partito democratico assai più di noi sono convinti. Una «mano tesa» al popolo di piazza San Giovanni, come dici tu? Caro Piero, perdona la franchezza, ma queste sembrano di più braccia alzate. In segno di resa.
Il testo integrale dell’articolo di Paolo Franchi è stato pubblicato sul sito de Il Riformista