Che cos’è un pensiero? La domanda è antica quanto l’uomo e, almeno a prima vista, sembra appartenere a quel genere di questioni metafisiche destinate a rimanere senza risposta in eterno. Eppure, intorno alla metà dell’800, sotto la spinta delle nuove scienze esatte, sembrò prendere forma una risposta così semplice e ragionevole da dover chiudere, all’apparenza, ogni ulteriore discussione. Un pensiero, si disse, è un evento psichico che, a determinate condizioni, può «rappresentare» uno stato di cose nel mondo. Uno scambio di pensieri, quindi, sarà una forma di contatto fra due teste, due menti, due cervelli capaci di scambiarsi informazioni e regole del pensiero, quelle studiate dai logici fin dai tempi di Aristotele, non saranno altro che le regole di funzionamento della macchina pensante che ciascuno di noi porta in giro, ben protetta nella sua scatola cranica. Per qualche decennio sembrò che questa impostazione – genericamente indicata come psicologismo – dovesse liquidare per sempre ogni antica fantasia sullo spirito, l’anima o il mistero del logos. Invece, nei primi anni del ‘900 cominciarono ad affollarsi dubbi e aporie.
Il teorema di Pitagora, ad esempio, è sempre lo stesso pensiero, o è un pensiero diverso a ogni nuovo evento psichico? Verrebbe spontaneo rispondere che almeno il senso del teorema deve essere sempre lo stesso. Ma in quel caso il «senso», appunto, non è un evento psichico, ma qualcosa di pubblico e collettivo, che sta nel mondo e non nella testa dell’individuo. E ancora: i processi sociali, che danno forma al senso pubblico e condiviso, sono solo la somma dei tanti eventi psichici individuali, o hanno invece una logica propria, relativamente autonoma da quanto ha luogo nel segreto dell’una o l’altra mente? Almeno in Europa, il fuoco di fila di queste obiezioni finì col segnare la fine dello psicologismo, lasciando che fenomenologia, strutturalismo e ermeneutica si contendessero il territorio delle scienze umane. Questo, almeno, fino al giorno in cui l’improvvisa esplosione delle neuroscienze, della computeristica e del cognitivismo restituì attualità al problema, imponendoci per di più di acquistare come nuovo dagli Stati Uniti un modello di psicologismo non troppo diverso, al fondo, da quello respinto cent’anni fa. Siamo davvero in grado, oggi, di tacitare le obiezioni sollevate allora? E siamo in grado, almeno, di ricordarle? È possibile offrire una soluzione che non sia né metafisica né riduttiva? E che genere di concezione dell’uomo, della società e della politica è in gioco tra le righe di questa disputa in apparenza tanto astratta? Su questi interrogativi è in programma un seminario di studi a Salerno (oggi nella sede universitaria di Fisciano, sabato 19 al Giardino della Minerva), cui prenderanno parte Felice Cimatti, Mario De Caro, Gianni Giannoli, Massimo De Carolis, Marco Mazzeo, Fabrizio Palombi e Paolo Virno.