I temi etici sono, oggi più che mai, il terreno di confronto (e scontro) tra laici e cattolici soprattutto nel nostro Paese. Ieri, le parole di monsignor Sgreccia contro la libera produzione di embrioni chimera (composti da materiale genetico umano e animale) messa in campo dal governo britannico. Nei giorni scorsi, dopo la discesa in piazza dei cattolici contro i Dico e a favore della famiglia fondata sul matrimonio, l’incombere di un altro “non possumus”, quello riferito al testamento biologico. Al riguardo, ecco le parole dette al Riformista da padre Giorgio Carbone, professore di bioetica alla facoltà teologica di Bologna e personalità stimata e molto ascoltata in Vaticano soprattutto in questo momento di discussione sul testamento biologico in commissione Sanità al Senato. «Una cosa – spiega Carbone – è il testamento biologico, un’altra è il consenso informato. Legarle come sembra fare Ignazio Marino (diessino e cattolico, ndr) non è corretto. Sono due cose distinte e che è opportuno comprendere bene. Con il consenso informato (prassi consueta e secondo la Chiesa legittima) qualsiasi persona che sia già ammalata può chiedere, d’accordo col suo medico, che non gli vengano in futuro riservate terapie invasive o gravose o qualsiasi tipo di accanimento terapeutico. Ma il medico che lo ha in cura ha comunque il diritto-dovere di interpretare i desideri del paziente in quanto durante la terapie egli può giudicare che per il bene del paziente è opportuno agire in altro modo». Mentre «con il testamento biologico le cose cambiano. Infatti, si prevede che qualsiasi persona oggi sana possa scegliere di rifiutare qualsiasi tipo di cura nel caso che in un futuro prossimo o remoto si trovi a dover affrontare una malattia grave che non le permetta più di esprimere la propria volontà. Cosa dire in merito? Innanzitutto la prudenza che nasce dall’esperienza della vita concreta può fare tre obiezioni. Primo: nessuna persona sana e nel pieno possesso delle facoltà mentali può sapere cosa si prova quando si è colpiti da una malattia incurabile e si è entrati nella fase avanzata. Chi scrive le dichiarazioni è estraneo al vissuto della malattia. Perciò, invocare il principio del consenso informato per giustificare le dichiarazioni anticipate di trattamento rischia di essere fuorviante. Secondo: nessuno può prevedere con certezza quali saranno i progressi scientifici e medici nella diagnosi e nella cura di una particolare malattia. Terapie oggi penose per il malato, domani grazie ai progressi della tecnica potrebbero essere praticate con minori oneri. Perciò, le dichiarazioni rese oggi per un futuro prossimo o remoto potrebbero diventare imprecise o fuori luogo. Terzo: non è detto che le volontà che io oggi esprimo corrispondano esattamente a ciò che io desidererò quando sarò colpito da una malattia grave. Potrei aver cambiato idea e non aver avuto il tempo di manifestarlo».
Altro problema circa l’eventuale introduzione nel panorama legislativo del testamento biologico è quello che si stravolgerebbe il rapporto medico-paziente così come oggi è pensato. […]
Il testo integrale dell’articolo di Paolo Rodari è stato pubblicato sul sito de Il Riformista