Finocchiaro: Dico, non basta il notaio

E’ vero, senatrice Finocchiaro, che lì a Palazzo Madama vi girate i pollici?
«A smentire chi lo sostiene ci sono i dati: al Senato abbiamo approvato gli stessi provvedimenti della Camera».Come mai tiene a precisarlo?
«Perché non vorrei che si considerasse questo ramo del Parlamento come una sorta di palude, dove tutto si ferma».

Ammetterà, però, che nel complesso al Senato si lavora poco.
«E’ vero, si lavora poco. Non è pensabile, per esempio, che già di giovedì pomeriggio i senatori restino disoccupati e pensino a scappar via».

Quindi ha ragione il presidente Napolitano…
«Assolutamente sì. E poi si lavora male. Dovremmo dare più spazio alle Commissioni che gettano le basi dell’attività legislativa. Sarebbe molto meglio procedere per sessioni e consentire a chi è eletto all’estero un rapporto più stretto col proprio collegio. Servirebbe in generale una diversa organizzazione del lavoro».

Perché non si fa?
«Io sollevo il tema quasi ossessivamente. Mi pare però che l’opposizione non abbia interesse. Domina purtroppo questa concezione primitiva del bipolarismo, che punta a trasformare le aule parlamentari, e tanto più il Senato dove la maggioranza è risicata, in una specie di ring dove ci si combatte soltanto. Un’opposizione del genere non fa bene all’Italia e, credo, non piaccia nemmeno a chi l’ha votata».

Anche Berlusconi vi rimproverava, quando era lui al governo, di remare contro…
«Ammetto che pure noi nella scorsa legislatura abbiamo commesso lo stesso peccato. Ora però tocca a loro».

Sta di fatto che su 104 proposte del governo, ne sono state approvate 10…
«Faccio notare che in Parlamento non si discutono solo ed esclusivamente i provvedimenti del governo. Questo poteva sostenerlo il Cavaliere, appunto, secondo il quale le Camere dovevano solo mettere il timbro sulle decisioni prese a Palazzo Chigi, e certe piccole modifiche servivano a deputati e senatori per giustificare le loro scappatelle a Roma…».

Non è così?
«No. Nel Parlamento si affrontano anche temi politici generali. E noi correttamente abbiamo permesso che si discutessero quelli sollevati dall’opposizione perfino quando, magari, quei dibattiti si sarebbero potuti utilizzare in modo più proficuo».

Quindi fa bene Prodi a scaricare le colpe sul centro-destra…
«Vuole sapere come la vedo realmente? Penso che pure dal governo mi aspetterei qualcosa di diverso. Che coltivi con più cura la sua maggioranza in Parlamento. Che avanzi proposte di legge già un minimo elaborate, su cui esistano i consensi necessari, senza scaricare sulle Camere le tensioni interne della maggioranza».

Specie sulle materie economico-sociali, l’impressione è che il governo non riesca a trovare il bandolo…
«Avrei una ricetta piuttosto sbrigativa: più Consigli dei ministri e meno interviste. La nostra fortuna è di avere un ministro straordinario come Padoa-Schioppa. Ma penso anche che su certe materie occorra una gestione meno tecnica e più spiccatamente politica. Anche più flessibile. Non possiamo rischiare ora la rivolta dei dipendenti pubblici, ai quali finalmente si rinnova il contratto. E non possiamo consegnare a lavoratori e lavoratrici lo “scalone Maroni” solo perché non sappiamo gestire politicamente la faccenda».

A Palazzo Madama esiste un nuovo gruppo di 12 senatori, frutto della scissione Ds. Una complicazione in più per chi sta in cabina di regia?
«Certamente sì. E non mi riferisco ai costi della politica, che ovviamente lievitano».

Qual è il rischio?
«Che l’asse della maggioranza al Senato si sposti ulteriormente a sinistra, creando problemi alla coalizione, come dimostrano le ultime reazioni del ministro Mastella. Un punto di equilibrio andrà trovato. Sono certa che lo troveremo». […]

Il testo integrale dell’articolo di Ugo Magri è stato pubblicato sul sito de La Stampa

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