Gli ultra-tradizionalisti cristiani rifiutano la modernità: ma un male li costringe a cedere.
Malattia rarissima colpisce i loro bimbi. Salvati da una cura tecnologica.I figli della luce blu si addormentano ogni notte dentro la loro cripta illuminata, vegliati da un angelo azzurro, dalle lampade che li tengono in vita come germogli fragilissimi in una serra. Nelle notti della Contea di Lancaster, nella Pennsylvania rurale degli Amish, dei Mennoniti, le luci blu che illuminano alcune finestre non sono i bagliori dei televisori, severamente proibiti.
Sono il riflesso di queste camerette sarcofago dove sopravvivono quei bambini che la luce del sole uccide. Sono i figli della sindrome di Crigler-Najjar, una di quelle rare malattie con il nome di chi le ha scoperte, che è sempre un brutto segno, una condizione genetica che impedisce al loro fegato di metabolizzare la bilirubina, il pigmento prodotto dalla normale morte dei globuli rossi che provoca, se non è espulso, l’itterizia e l’intossicazione sistemica. In questi bambini e bambine bellissimi, biondi, come vuole l’appartenenza a gruppi dove inevitabilmente ci si sposa tra le stesse famiglie, la bilirubina è centocinquanta volte superiore al massimo considerato normale. Diviene un veleno che colpisce il cervello e conduce a morte.
Soltanto la luce blu, l’illuminazione con lampade sospese sopra le culla, i loro lettini e letti quando divengono più grandi, permette al loro corpo di espellere la bilirubina e di avere qualche speranza di sopravvivere in attesa dell’unica cura reale, il trapianto di fegato. Per almeno dodici ore al giorno, nei casi più gravi anche per tutto il giorno, i figli della luce blu devono giacere completamente svestiti e perennemente accuditi nel caso manchi la corrente, nel cono delle luci blu. Per metà della loro vita, fino a quando un trapianto divenga possibile, spesso non prima dell’adolescenza, i bambini di Crigler-Najjar devono vivere in un’incubatrice.
Ed è già un miracolo, questa scoperta della proprietà delle luci blu per permettere la metabolizzazione della bilirubina, perché fino ai primi anni ‘90, i figli degli Amish, dei loro cugini Mennoniti in Pennsylvania, nell’Ohio, in Indiana, in Canada, dove queste comunità vivono, erano condannati. Raramente raggiungevano i tre anni e anche se riuscivano a sopravvivere un poco più a lungo i danni cerebrali erano gravissimi e irreversibili. E fu proprio nell’ospedale di Lancaster, la città più importante della “terra degli Amish e dei Mennoniti”, che un medico che aveva studiato con lo scopritore della malattia, di fronte ai casi sempre più frequenti di itterizia divorante, intuì il miracolo della luce blu.
Non fu un miracolo accettato facilmente da gruppi religiosi che si ispirano tenacemente alla predicazione del loro fondatore, l’ex sacerdote cattolico olandese Menno Simmons nel ‘500, e che nel loro inflessibile anti-modernismo, guardano con sospetto a ogni tecnologia. Senza arrivare al totale rifiuto dell’elettricità e dei motori a scoppio praticato dai loro cugini ancora più tenaci, gli Amish, anche nelle loro case scienza e tecnologia sono accolte per il minimo indispensabile, per cucinare o per non finire assiderati nel freddo invernale.
Ma i bambini morivano e l’incidenza del morbo, rarissimo nel resto della popolazione, centodieci casi al mondo, era alta tra i 70 mila fedeli di Menno, dove la difesa della propria identità etnica e religiosa tende a riprodurre malattie genetiche, due dozzine secondo l’Associated Press, Visitando i sobri cimiteri lungo le colline della Dutch Country, della terra degli olandesi come viene ancora oggi chiamata, le tombe di bambini morti piccolissimi sono molte. E quasi sempre, come nel caso di questa sindrome, dovute alla familiarità di cromosomi e geni troppo poco diversificati tra di loro.
Non fu facile, per gente mite quanto ostinata, convintamente fedele a una vocazione che li portò anche alla deportazione nei campi di concentramento americani durante la seconda guerra mondiale e poi negli anni del Vietnam per il loro pacifismo intransigente e quindi per diserzione, arrendersi.
Ma tra la fedeltà ai principi dottrinali e la vita dei loro figli, la congregazione dei Mennoniti scelse, alla fine, i figli, accettò la tecnologia che avrebbe prolungato e forse salvato la loro vita e nelle notti della Pennsylvania cominciarono ad accendersi i riquadri blu, le finestre della speranza.
Nelle loro case, mentre nella cucina comune, nelle altre stanze da letto, le donne accendono a sera le lampade a petrolio, nella stanza riservata ai figli della luce, si accende il baldacchino di acciaio con la batteria di lampade blu, alimentate spesso da un generatore, dove non arrivano i fili della corrente, sopra il bambino coperto soltanto dal pannolino, se ancora lo porta. Costa mille dollari, quel baldacchino di luci costruite da un papà Mennonita, Floyd Martin, per il figlio e per gli altri bambini che soffrono dello stesso male. Nessuna industria li vuol produrre, perché ci sono troppo pochi casi per giustificare l’investimento, e lui, da bravo Mennonita, li fa in casa, con attrezzi semplici e li vende a costo, l’angelo azzurro dei bambini gialli.
Articolo di Vittorio Zucconi pubblicato su laRepubblica