Un oggetto oscuro ai confini della Via Lattea è forse costituito da un sistema doppio di piccoli buchi neri
Un gruppo internazionale di astronomi diretti da Andrew Gould della Ohio State University ha messo a punto una nuova tecnica per valutare la localizzazione della materia oscura nello spazio e per valutarne la massa. Inoltre, questo metodo promette di risolvere il problema della composizione della materia oscura presente nella parte più esterna della Via Lattea, il cosiddetto alone, formato da gas e stelle molto vecchie quasi “perse per strada” dalla galassia.
Il metodo, presentato al 30° convegno della American Astronomical Society in corso a Honolulu, non è altro in realtà che un raffinamento del vecchio metodo della triangolazione.
La materia oscura può essere rilevata indirettamente nel momento in cui, interponendosi fra noi e oggetti celesti lontani, deforma la traiettoria della loro luce, comportandosi come una lente gravitazionale.
“Gli astronomi hanno identificato una decina di eventi da lente gravitazionale che potrebbero essere generati da oggetti oscuri nell’alone – ha osservato Gould – ma dato che non avevamo modo di stimarne la distanza, non potevamo dire se si trovassero realmente nel nostro alone o appartenessero alla fauna stellare di un’altra galassia.”
I ricercatori hanno applicato la loro tecnica all’evento di lente gravitazionale OGLE-2005-SMC-001, prendendo come punti di osservazione il Warsaw Telescope a Las Campanas, in Cile, e il telescopio spaziale Spitzer orbitante a 40 milioni di chilometri di distanza dalla Terra, utilizzandoli non per una misura diretta della distanza dell’oggetto che provoca l’effetto lente, ma per valutarne in prima istanza la velocità attraverso la registrazione delle differenze temporali con cui vengono osservati da Terra e dallo spazio i picchi di luminosità e oscurità che esso provoca.
Dato che gli astronomi conoscono i range di velocità con cui può muoversi un oggetto all’interno del nostro alone galattico, e confrontandoli con quelli di un oggetto in un’altra galassia – nel caso specifico la Piccola Nube di Magellano – hanno potuto concludere, con un intervallo di confidenza del 95 per cento, che la lente gravitazionale che stavano studiando si trova effettivamente nel nostro alone, a 16.000 anni luce dalla Terra.
Ulteriori dati relativi alla temporizzazione dei picchi di luminosità hanno permesso di dedurre che la lente è formata da due oggetti separati – di massa rispettivamente pari a sette e tre volte quella del Sole – che orbitano uno attorno all’altro. Si potrebbe dunque trattare di MACHO o Massive Compact Halo Objects – per i quali finora non erano stati individuati metodi di rilevazione nel caso avessero una massa compresa fra le 10 e le 100 masse solari – o di buchi neri.
il buco nero: quell’oscuro insondabile che tutti attrae