Testamento biologico: la tavola rotonda di Verona

Dopo otto mesi di discussione, qualche giorno fa il testo di legge sul testamento biologico ha iniziato finalmente l’iter parlamentare al Senato. Due giorni dopo, il gip di Roma ha respinto la richiesta di archiviazione e ordinato l’imputazione coatta per Mario Riccio, l’anestesista che staccò il respiratore a Piergiorgio Welby, l’esponente dei Radicali che aveva chiesto l’interruzione delle cure. «L’attualità del dibattito sul diritto del cittadino a scegliere liberamente sulla propria salute dimostra quanto sia urgente arrivare a una normativa in materia», ha commentato Mario Marigo, professore emerito di Medicina Legale ed ex rettore dell’Università degli Studi di Verona intervenendo alla tavola rotonda sul tema, organizzata ieri pomeriggio alla Società letteraria dall’Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar).
La legislazione italiana in proposito (che come ha sottolineato il notaio Gianfranco Tomezzoli, parte già con l’articolo 32 della Costituzione), sancisce il diritto per ogni paziente di conoscere la verità sulla propria malattia e il diritto di acconsentire o meno alle cure proposte (il cosiddetto consenso informato). Un principio fondamentale, ma difficile da applicare, soprattutto se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà. Questo il senso del «testamento biologico» o «direttive anticipate di trattamento».
«Il dibattito si incentra non tanto sulle modalità con cui queste dichiarazioni dovrebbero avvenire», ha spiegato Marigo, «ma sull’autonomia del cittadino di programmare i trattamenti da subire in futuro. Se in passato imperavano il concetto di evoluzione naturale della malattia e un rapporto paternalistico tra medico e paziente, in cui le decisioni prese dal primo erano considerate indiscutibili, oggi l’ottica è molto diversa. La tecnologia ha aumentato la possibilità di sopravvivenza, portando però con sé una dimensione meno umanizzata della medicina. E le decisioni del medico sono spesso messe in discussione, in virtù del diritto del paziente di essere sì curato, ma non più del necessario».
Il ritardo dell’Italia rispetto a questa normativa è presto detto, se è vero che la prima legge mondiale al riguardo fu redatta in California nella prima metà del secolo scorso. Il Consiglio d’Europa si adeguò con una prima decisione nel 1976 e con la convenzione di Oviedo del ’97, ratificata dall’Italia solo nel 2001, che prevede che i desideri del paziente siano tenuti in considerazione. «E’ necessario che la gente si convinca che la strada delle disposizioni anticipate è l’unica possibile affinché l’autonomia dei cittadini non si possa più mettere in discussione. Precisando che il testamento biologico mira a evitare l’accanimento terapeutico e non ha nulla a che fare con l’eutanasia».
Sulla stessa linea anche Gianfranco Maffezzoli, medico anestesista e rianimatore, docente allniversità di Verona. «Il grande cambiamento tecnologico nella scienza medica ha provocato uno spostamento dei limiti della vita e della morte, di fronte ai quali le scelte delle persone vanno supportarte. Mi auguro che la nuova normativa vada nel senso di una medicina umanizzata, che assicuri la comunicazione tra medico e paziente e garantisca un progetto di cura condiviso. Solo interpretando e rispettando la sofferenza, non solo fisica, delle persone, le richieste di eutanasia potranno ridursi».

L’articolo di Elia Pasetto è stato pubblicato sul sito del quotidiano “L’Arena” 

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