Lombardia, sepoltura dei feti, critiche dal giudice

«Il regolamento della Regione Lombardia che prevede la possibilità di seppellire i feti è oggettivamente un ostacolo, di tipo psicologico, all’interruzione volontaria della gravidanza». A sostenerlo è il pubblico ministero Marco Ghezzi. Il magistrato, che doveva valutare la denuncia presentata dai Radicali contro il nuovo e contestato regolamento cimiteriale votato dal Pirellone a fine gennaio, ha chiesto l’archiviazione dell’esposto perché «non viola alcun precetto penale», ma ha comunque preso posizione contro il regolamento. Un no chiaro, con considerazioni molto vicine a quelle espresse dalle donne dell’associazione Usciamo dal Silenzio. Infatti nell’atto di richiesta di archiviazione il pubblico ministero scrive: «Il regolamento è oggettivamente un ostacolo all’interruzione di gravidanza, posto che, prevedendo la sepoltura dei feti, si tende ad assimilare il prodotto del concepimento a un individuo, concetto propugnato dagli anti-abortisti e negato dai loro avversari». La posizione di Ghezzi è molto vicina a quella delle femministe milanesi e lui di fronte a questa considerazione dice, sorridendo: «Qui emerge la parte femminile che è in me». E, poi, serio, aggiunge: «Anch’io vivo nella società e ho le mie idee. Comunque, tengo ben separati gli aspetti penali di una vicenda dalle mie considerazioni private. Ho chiesto l’archiviazione dell’esposto perché non c’era reato. Questo però non mi impedisce di dire che il regolamento sulla sepoltura dei feti sia un ostacolo a una legge dello Stato, fatta apposta per evitare il ricorso agli aborti clandestini “.
La presa di posizione del magistrato arriva a pochi giorni dall’ennesima polemica provocata dall’applicazione del regolamento lombardo. Una donna aveva denunciato il fatto che al San Paolo chi chiede l’interruzione volontaria della gravidanza è costretta, prima di entrare in sala operatoria, a riempire un modulo in cui deve indicare che tipo di sepoltura dare al feto. Poi si era scoperto che i moduli erano stati adottati anche da altri due ospedali milanesi ed era intervenuta la Regione sostenendo che “tutto questo è frutto di una cattiva interpretazione dei regolamento”. Così i moduli erano stati messi al bando, per poi riapparire, in una forma ancora più penalizzante per la donna, con una scheda elaborata dall’Asl e dal Comune, in cui si chiedeva, tra l’altro, anche il numero della carta d’identità della donna. […]

Il testo integrale dell’articolo di Laura Asnaghi è stato pubblicato su “Repubblica” di ieri

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4 commenti

Kaworu

qualcuno si accorge di questa merda, finalmente…

dovrebbero seppellirli nel giardino di formigoni.

Markus

Credo che siano gli ospedali a doversi attrezzare per smaltire i rifiuti speciali.
Se ampuntano un arto, che fine gli fanno fare ? Mica lo seppelliscono… ecco direi che il percorso è lo stesso….

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