Come alla Mecca nel ’79, il rischio del «contagio»

Quel 20 novembre del 1979 – il primo dell’anno 1400 secondo il calendario musulmano – i leader religiosi e i regnanti della dinastia Saud rimasero a bocca aperta vedendo materializzarsi davanti ai loro occhi un gruppo di 400 militanti, guidati da Juhaiman ibn Said al Utaiba, che occupò la Grande moschea della Mecca, meta di pellegrinaggio e luogo più sacro per milioni di musulmani. Gli ulema dovettero rilasciare in fretta e furia permessi speciali per consentire, due settimane dopo il clamoroso gesto, anche alle forze speciali francesi di partecipare alla «liberazione». Ad attaccare i militanti islamici che si erano asserragliati nella Grande moschea fu un piccolo esercito: diecimila sauditi, migliaia di pachistani e truppe «infedeli» francesi munite di lasciapassare. In quel modo fu stroncata una rivolta che, assieme alla rivoluzione khomeinista in Iran, segnò il 1979 come l’anno in cui i movimenti islamisti osarono come mai avevano fatto prima. Al Utaiba, ex membro della guardia nazionale laureatosi all’Università di Medina, dopo essersi impadronito del luogo di culto lanciò un proclama alla nazione: abbattiamo il governo dei Saud che è corrotto e ha deviato dal vero corso dell’islam avvicinandosi ai valori occidentali. Del gruppo d’insorti facevano parte donne e uomini, sauditi, egiziani, yemeniti, kuwaitiani, iracheni e bangladeshi. Il governo fu colto completamente impreparato dall’insurrezione. I rivoltosi invece si erano preparati all’assedio armandosi fino ai denti e facendo provviste di generi alimentari. Tra il 4 e il 5 dicembre, l’irruzione dei soldati causò una strage: circa 200 i morti, tra ostaggi, militari e combattenti. I sopravvissuti all’incursione furono decapitati nelle piazze di quattro città saudite. […]

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4 commenti

Gianni

> i leader religiosi e i regnanti della dinastia Saud rimasero a bocca aperta vedendo materializzarsi davanti ai loro occhi un gruppo di 400 militanti>

Hanno già inventato il teletrasporto.

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