Massacrati per padre Bossi, ma [forse] non è vero

Il sequestro di padre Giancarlo Bossi, il sacerdote italiano rapito un mese fa nelle Filippine, sta diventando un pericoloso gioco di notizie che infiammano le cronche e smentite che pochi si curano di raccogliere. Ieri un portavoce dell’esercito filippino, Ariel Caculitan, ha dichiarato che 14 marines filippini che stavano rastrellando l’isola di Basilan in cerca del religioso italiano erano stati uccisi – e a dieci di loro era stata tagliata la testa – in una furiosa battaglia contro «miliziani del Fronte Moro e di Abu Sayyaf». Il Fronte islamico di liberazione Moro e Abu Sayyaf sono la principale forza indipendentista del paese e la locale filiale di Al Qaeda, per una volta unite nella lotta.
La notizia e il raccapricciante particolare delle teste tagliate ha fatto il giro del mondo in un attimo. Mentre ci sono volute ore perché Manila ammettesse l’esistenza di un’altra versione, resa pubblica dalla Farnesina e dai missionari del Pime, il Pontifico istituto missionario. «Secondo le autorità di Manila – ha dichiarato il ministero degli esteri italiano – gli scontri di ieri sono attribuiti a un normale pattugliamento, pertanto in una zona non legata alle ricerche di padre Bossi». E il superiore generale del Pime, padre Gian Battista Zanchi, ha dichiarato che «in base ai nostri contatti con i confratelli nelle Filippine e con le autorità locali, si esclude qualsiasi collegamento tra gli scontri di Basilan e le operazioni di ricerca di padre Bossi».
Anche la dinamica degli scontri è in questione. Il portavoce dell’esercito aveva parlato di «un’imboscata a tradimento», il capo dei negoziatori del Fronte Moro (che ha avviato trattative con il governo filippino) ha replicato che i soldati sono entrati senza avvertimenti in un’area controllata dagli indipendentisti, che si sono difesi. Il negoziatore, Moahquer Iqbal, ha smentito la presenza di miliziani di Abu Sayyaf.
In ballo ci sono i finanziamenti americani contro il terrorismo: un gruppo di quaedisti sanguinosi e decapitatori, magari con un prete italiano tra le mani, meritano bene la generosità del Dipartimento di stato americano. Sulla testa di padre Bossi si gioca una partita pericolosa, i suoi stessi confratelli hanno invitato più volte autorità e stampa a «non strumentalizzare la vicenda».

Fonte: ilManifesto.it

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