Maddalena Nuvoli: «Io e Giovanni vi chiediamo: perché tanto feroce accanimento?»

Un piccolo appartamento in Via degli Orti, dove Alghero, spicchio di Catalogna in Sardegna, è cresciuta disordinata e grigia. Periferia a due passi dallo scintillante lungomare che imita, patetico nella supponenza, le ramblas della città madre, Barcellona. Quattro mura e una soglia invalicabile per Giovanni Nuvoli, che qui combatte la sua battaglia da quando, il 6 aprile scorso, dopo quattordici mesi di ricovero nel reparto di rianimazione dell’ospedale civile Sassari, è tornato a casa. Comunica con la moglie, Maddalena Soro, e con le infermiere che lo assistono con un sintetizzatore vocale e con una lavagna in plexiglas a lettere trasparenti, che lui indica battendo le palpebre. E che cosa vuole continua a ripeterlo con fermezza: «Voglio essere staccato dalle macchine, voglio che mi stacchino le macchine». Stava per accadere, ma la procura di Sassari e i carabinieri lo hanno impedito.
Attraverso la linea telefonica la voce di Maddalena Soro arriva flebile, stanca: «Mi sento come nel vortice di uno tsunami. Le onde sono molto più forti di me, della mia volontà. L’unico punto fermo è che io devo stare dalla parte di Giovanni, fare ciò che lui crede sia meglio. Se solo si fosse rispettata la sua volontà, espressa sempre in maniera netta, senza tentennamenti, tutta questa storia sarebbe finita da un pezzo. E invece il dolore di mio marito, la sua sofferenza, vengono prolungate in nome di non si sa bene che cosa. Perché? Perché tanto assurdo feroce accanimento?». […] «Che cosa succederà adesso – dice Maddalena Soro – non lo so. A Tommaso Giacca, il medico anestesista che lo assiste da febbraio, Giovanni ha detto che lui vuole che la spina del respiratore venga staccata. Ormai pesa appena trentacinque chili. Ma non è depresso, come qualche giornale ha scritto. E’ anzi perfettamente lucido. Sa bene cosa gli sta accadendo intorno, e la sua volontà è chiarissima. Gli ho letto una lettera anonima arrivata l’altro giorno, piena di terribili insulti e d’odio contro di me. Mi ha detto che non dovevo preoccuparmi, che c’è lui con me, che lui saprà difendermi… sul suo lettino parlava, con gli occhi».

Fonte: ilManifesto.it

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5 commenti

Francesca

Tempo fa, parlavo con una mia amica di eutanasia. Lei mi chiese: se tuo figlio (che non ho ma che spero di avere) ti chiedesse di morire, tu come ti sentiresti a staccargli la spina.
Ebbene, la domanda è mal posta, la domanda che io mi farei è: come mi sentirei, se non lo facessi? Se leggessi negli occhi di mio figlio il desiderio di morire, come mi sentirei a negarglielo? Come potrei guardarmi allo specchio sapendo che ho negato a mio figlio il suo più intenso, ultimo desiderio. Che mostro di egoismo sarei se lo condannassi ogni giorno ad una nuova insopportabile agonia?

Questo dovrebbero chiedersi i professionisti dell’amore. Se fossero capaci di concepirlo, l’amore.

non possumus

ennesimo esempio di crudeltà religiosa, con complicità dello stato in mano non ai cittadini, ma a politici che per conservare il loro potere sono disposti a tutto, anche a subire i diktat di uno staterello insignificante, vergogna a chiunque nega dei diritti ad altri.

rossotoscano

La domanda rispetto all’eutanasia secondo me è posta in termini sbagliatissimi: attaccare qualcuno alle macchine, in molti casi, non E’ prolungargli la vita ma prolungargli la morte… ricordiamo che all’ultimo papa non lo vollero intubare proprio grazie ad una legge del vaticano… comunque per i cattolici credenti questo non dovrebbe essere un problema: se il loro dio chiama qualcuno a sè allora perchè intubarlo e non farlo ricongiungere al loro dio? Invece, secondo il mio parere di ateo, in queste gravi situazioni è il cittadino che deve decidere e la sua scelta deve essere rispettata altrimenti corriamo il rischio di ritrovarci tutti intubati contro il nostro volere in nome di qualcosa e di qualcuno di effimero che serve ad altri per rivendicare il loro potere sulle nostre vite

Paolo Garbet

Venerdì 6 luglio ho assistito a Udine al convegno sull’etica di fine vita organizzato dalla FNOMCEO, nel corso del quale la senatrice Paola Binetti ha detto che proporrà una legge nella quale verrà stabilito che la ventilazione meccanica non è una terapia e come tale non potrà essere interrotta in quanto, provocando come diretta conseguenza il decesso del paziente, tale atto sarà considerato al pari di un omicidio (le parole erano diverse ma il significato, per quanto ho capito io, era questo).
Nessuno dei partecipanti al convegno ha fatto notare che, con una legge del genere, al povero Welby non sarebbe stato possibile invocare il diritto a rifiutare la terapia e pertanto si sarebbe trovato costretto a restare a tempo indeterminato in quella situazione che lui stesso non sopportava più.
A mio parere, il presentare una legge così è indice di disprezzo assoluto per la libertà delle persone e anche di cattiveria e presunzione, tenuto conto che nessuno, finchè è sano, può immaginare cosa significhi vivere nelle condizioni in cui si trovava Welby e in cui si trovano altri con malattie analoghe.

ren

Signora, è inutile che faccia questa domanda ai cattolici italiani, per loro la religione è un passatempo.

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