Fukuyama: «L’Europa è a rischio»

L e moderne società liberali in Europa e Nord America tendono ad avere identità deboli; molti celebrano il loro pluralismo e multiculturalismo, sostenendo che la loro identità in effetti è non avere identità. Il fatto è che l’identità nazionale continua a esistere in tutte le democrazie liberali, anche se con caratteri differenti in Nord America rispetto ai Paesi dell’Ue. Secondo Seymour Martin Lipset, l’identità americana è sempre stata di natura politica, essendo gli Usa nati da una rivoluzione contro l’autorità statale con alla base cinque valori fondanti: uguaglianza, libertà (o antistatalismo), individualismo, populismo e laissez-faire. L’identità americana ha le sue radici anche nelle diverse tradizioni etniche, in particolare in quella che Samuel Huntington definisce la cultura «anglo-protestante», da cui derivano la famosa etica protestante del lavoro, l’inclinazione all’associazionismo volontario e il moralismo in politica. Questi aspetti chiave della cultura americana all’inizio del XXI secolo sono stati distinti dalle loro origini etniche, divenendo patrimonio della maggioranza dei nuovi americani. […]
Non c’è ragione perché una ragazza musulmana sia trattata differentemente da una cristiana o da un’ebrea rispetto alla legge, comunque la pensino i suoi parenti. Il multiculturalismo, per come fu originalmente concepito in Canada, negli Usa e in Europa, era in un certo senso un «gioco alla fine della storia »: la diversità culturale era vista come un tipo di ornamento al pluralismo liberale, che avrebbe provveduto cibo etnico, vestiti coloratissimi e tracce di tradizioni storiche distintive a società spesso considerate confusamente conformiste e omogenee. La diversità culturale era qualcosa da praticare largamente nella sfera privata, dove non avrebbe condotto ad alcuna seria violazione dei diritti individuali, né avrebbe minato l’ordine sociale essenzialmente liberale. Per contro, oggi alcune comunità musulmane stanno avanzando richieste per diritti di gruppo che semplicemente non possono essere adattati ai principi liberali di uguaglianza individuale. Tali richieste includono esenzioni speciali dalla legislazione familiare valida per chiunque altro nella società, il diritto di escludere i non musulmani da alcuni particolari eventi pubblici o il diritto di opporsi alla libertà di parola in nome dell’offesa religiosa (come nel caso delle vignette danesi). In taluni casi estremi, le comunità musulmane hanno persino espresso l’ambizione di sfidare il carattere laico dell’ordine politico nel suo insieme.
Tipologie simili di diritto di gruppo intaccano i diritti di altri individui nella società e sospingono l’autonomia culturale ben oltre la sfera privata. Chiedere ai musulmani di rinunciare ai diritti di gruppo è molto più difficile in Europa che negli Usa, perché molti Paesi europei hanno tradizioni corporative. L’esistenza di scuole cristiane ed ebree finanziate dallo Stato in molti Paesi europei rende difficile argomentare in via di principio contro un sistema scolastico supportato dallo Stato per i musulmani. Queste isole di corporativismo pongono importanti precedenti per le comunità musulmane e risultano d’ostacolo al mantenimento di un muro di separazione fra religione e Stato. Se l’Europa deve stabilire il principio liberale di un pluralismo fondato sugli individui, allora deve affrontare il problema di tali istituzioni corporative ereditate dal passato. […]

L’articolo integrale è raggiungibile sul sito del Corriere

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9 commenti

Vash

Vai un po’ a convincere il governo italiano a non dare più fondi alle scuole cattoliche…

nicola

Fukuyama ancora scrive? È segno che con un po’ di faccia tosta e un buono sponsor anche l’ultimo dei buffoni riesce a far carriera.

raphael

e certo che siamo in pericolo….
blindiamo la costituzione in senso laicista se non vogliamo una lotta per i privilegi fra le varie fazioni religiose ed applichiamo correttamente (senza prevaricare le minoranze) il principio per cui la maggioranza decide se non vogliamo diventare uno stato teocratico (già lo siamo?)

Damiano

L’esistenza di scuole cristiane ed ebree finanziate dallo Stato in molti Paesi europei rende difficile argomentare in via di principio contro un sistema scolastico supportato dallo Stato per i musulmani. Queste isole di corporativismo pongono importanti precedenti per le comunità musulmane e risultano d’ostacolo al mantenimento di un muro di separazione fra religione e Stato.

STRABINGO!!!!

nando

“L’esistenza di scuole cristiane ed ebree finanziate dallo Stato in molti Paesi europei rende difficile argomentare in via di principio contro un sistema scolastico supportato dallo Stato per i musulmani. Queste isole di corporativismo pongono importanti precedenti per le comunità musulmane e risultano d’ostacolo al mantenimento di un muro di separazione fra religione e Stato”

Perfettamente d’accordo, strabingo e quant’altro.
I casi sono 2.
1) E’ legittimo che le scuole e università cattoliche siano finanziate dallo Stato? Sì? ALLORA è legittimo e necessario che lo Stato finanzi scuole private ispirate ANCHE ad altre religioni. Ebraiche, buddiste, induiste e ANCHE islamiche, che piacciano o meno. E perché no, anche ispirate all’ateismo e umaniste.
2) Caso preferibile e assolutamente auspicabile: le scuole private, ivi comprese quelle religiose, comprese vieppiù quelle cattoliche, aprono e lavorano se hanno i soldi per farlo. Altrimenti, ciccia.

lik

Secondo me è impossibile che le scuole religiose rinuncino ai finanziamenti che sono legali pure negli altri stati europei (compresa la Francia) quindi dobbiamo abituarci al finanziamento delle scuole islamiche. Senza contare che la scuola pubblica è sempre più un terreno scadente e di scontro di culture. Comunque Fukuyama dimentica che negli usa i musulmani sono meno del 2% e resteranno tali perché l’immigrazione di massa è latinoamericana mentre in Europa saranno sempre più numerosi.

arcibaldo

Se Fukuyama è un politologo giapponese si guardasse in casa propria al disastro nucleare di questi ultimi giorni. Anche quello è un rischio.

Ernesto

proprio perché è un politologo e non un tecnico nucleare penso che il tuo commento, arcibaldo, sia fuori luogo.

arcibaldo

Va bene. Volevo solo dire che nel mondo di rischi ce ne sono a iosa e che nessuna nazione ne è esente.

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