Apocalittico, nella classica accezione di Umberto Eco, sarebbe un buon termine per descrivere Diego Minciacchi. Un artista e scienziato cinquantaduenne poco disposto a trafficare con i consumi culturali o le mode o, semplicemente, le simpatie del suo pubblico. Che esiste e lo guarda con simpatia. E ascolta con curiosità la sua musica che – dice un ritornello – traduce in suoni i meccanismi di funzionamento del cervello.
Nella sua vita, Minciacchi, entrano prima gli studi di neuroscienze o quelli di musica?
Vengono assieme. Per me non è tanto importante parlarne in termini di prima e dopo quanto in termini di interesse. Ci sono periodi di stagnazione in un campo o nell’altro. Ma non mi stacco mai da nessuno dei due.
Le neuroscienze davvero sconvolgono i saperi? Anche in campo musicale?
Quando sono nate erano il più possibile scevre da pregiudizi. Oggi è diverso: si fa molta «ricerca applicata» e spesso vuol dire che è indirizzata a certi risultati e spostata rispetto ad altri possibili. Così i pregiudizi saltano fuori. Ecco un esempio in rapporto al problema della musica. Durante un convegno su neuroscienze e musica mi sono trovato di fronte a un gruppo di ricercatori che asserivano: la musica tonale occidentale è effettivamente la migliore che sia stata prodotta per assecondare il nostro cervello. In sostanza dicevano: la musica è musica quanto più si avvicina a quel modello. Dati i tempi sembra un approccio di tipo preventivo e da esportazione in campo scientifico.
Per lei c’è un rapporto diretto tra l’attività di neuroscienziato e quella di musicista?
Per tanto tempo le due cose non si sono parlate. Ovviamente non era possibile che nel mio cervello non si parlassero. Ma a un certo punto questo fatto è diventato esplicito. Racconto un episodio chiave. Siamo alla fine degli anni ’80, io mi trovo all’università di Boston dove sto ultimando una ricerca e nello stesso tempo sto ultimando una composizione commissionata da Darmstadt.
Ho sul tavolo del mio studio due pile di carte affiancate, una di fogli del lavoro musicale e una di fogli della ricerca di neurofisiologia. Porto avanti tranquillamente un po’ uno un po’ l’altro lavoro. Un giorno ho in mano un foglio della partitura musicale; lo giro e vedo che dall’altra parte è un foglio di un esperimento di laboratorio. Le due cose si erano mischiate e io ho capito che era inevitabile.
Quindi lei è consapevole di immettere nella sua musica elementi della sua attività di ricerca nelle neuroscienze.
In alcune composizioni prendo direttamente le informazioni di alcuni miei esperimenti. Non è un’operazione che faccio sempre, solo quando la ritengo necessaria. Voglio dire: non è questa la mia tecnica di composizione d’elezione, ma uno strumento compositivo. La uso in misure diverse e in occasioni diverse. A volte in misura radicale. C’è un mio lavoro per tre pianoforti ed elettronica, Quintum desertum, eseguito in prima assoluta a Darmstadt nel 2000, in cui tutti i parametri della partitura sono desunti da dati sperimentali del mio lavoro scientifico. Ovviamente sono desunti, non è che il mio approccio compositivo viene a mancare. Facciamo il paragone con una griglia armonica o una griglia polifonica o una tecnica seriale: sono strumenti compositivi.
Ma questi dati sperimentali in che cosa consistono?
Alcuni sono architetture: come sono costruite popolazioni di cellule. Altri sono funzioni: ad esempio registrazioni dell’attività cerebrale.
E come vengono tradotti in suoni?
I processi sono molto diversi. Ma facciamo un esempio semplice: se due cellule sono disposte in un certo modo io posso disporre la successione di due suoni in modo analogo. […]
Non ho ben capito perché questa notizia sia riportata fra le “Ultimissime” del sito UAAR.
Diego è collegato a San Diego dove è stata rimossa una croce.., artista all’artista che ha simulato una camera a gas in sinagoga tedesca ……
A volte le ultimissime correlate non c’entrano un gran chè e a volte le ultimissime non c’entrano un gran chè!
@ Magar
Ma insomma , sei o non sei una Razionalista anche tu ?!
La razionalità è figlia dell’attività cerebrale e mentale.
Le origini della religione vanno ricercate lì, nella mente.
Dio è un’invenzione, un’illusione, un artefatto mentale.
Le neuroscienze possono spiegare i vari meccanismi che stanno dietro al comportamento religioso ma non solo… anche nel campo della linguistica ,della musica ,dell’arte , della filosofia ,della matematica, della psichiatria e via dicendo.
Insomma ,è tutta questione di cervello
“Alcuni anni fa, quando si trovò tra le mani lo stimolatore magnetico, lo psicologo canadese Michael Persinger, decise di applicarlo a parte dei propri lobi temporali. E si trovò con meraviglia a vivere per la prima volta il contatto con Dio”[…]
” Le osservazioni di Persinger non mi stupirono troppo, perchè avevo sempre sospettato che i lobi temporali, in particolare il sinistro, avessero in qualche modo a che fare con l’estasi religiosa. A tutti gli studenti di medicina si insegna che gli epilettici del lobo temporale possono avere intense esperienze spirituali durante le crisi, e che a volte si interessano a probblemi religiosi e morali anche nei periodi interaccessuali, quelli in cui non hanno gli attacchi” V.S. Ramachandran professore di neuroscienze e psicologia
da “La donna che morì dal ridere”
“La paradossale convergenza tra perdita della libido e interesse per i rituali sessuali non è infrequente negli epilettici del lobo temporale” V.S. Ramachandran
E questo spiegerebbe tante altre cosucce….
è un intervista di carattere scientifico, la scienza ha tutto a che fare con la razionalità e la logica, tutte le informazioni a carattere scientifico possono essere ospitate nel sito.
Secondo me e’ bello leggere questo tipo di articoli, non possiamo stare sempre a incazzarci con le sparate di Volonte’ e compagnia bella.
Quoto Cartman 666 e non chi capisco chi stà sempre a lamentarsi per la selezione degli articoli.