Il medico di Nuvoli si appella all’Ordine

Una lettera aperta: Tommaso Ciacca, il medico anestesista che si è detto disponibile a staccare il respiratore di Giovanni Nuvoli, si è rivolto ieri direttamente all’Ordine dei medici. Nuvoli, malato di sclerosi laterale amiotrofica, chiede di poter morire. Aveva deciso per il distacco il 10 luglio, ma il medico è stato fermato dalle forze dell’ordine. Ora Ciacca, che aderisce all’Associazione Luca Coscioni, si rivolge all’Ordine, perché «mettiate in atto ogni strumento per dare nei tempi più brevi (mi riferisco a minuti, ore e giorni) un aiuto concreto per Giovanni Nuvoli». Il mio paziente, scrive il medico rivolgendosi ai suoi colleghi «ci chiede con il suo agire, tramite l’unico movimento che ancora possiede, quello degli occhi, di dare corpo al senso più profondo della nostra professione».

Fonte: ilManifesto.it

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11 commenti

Damiano

Cazzarola non vorrei proprio essere nei panni di nuvoli… oltre al danno la beffa dei fedeli di un dio prepotente.

ren

Sono i fedeli ad essere prepotenti. Il dio è come se lo immaginano loro, arcigno e durissimo (con gli altri) [Per i cattolici nei confronti di se stessi dio è sempre buono e generoso, ma agli “altri”, malati, divorziati, separati, gay e lesbiche, deve far vedere i sorci verdi per far vedere la sua potenza]

Andrea

Ma dico io, cosa interessa alla chiesa? Ragioniamo un secondo, se crede che ci sta una divinità giudicante dopo la morte, in caso di suicidio, non potrebbero far sbrigare il lavoro alla divinità, in fondo la si incontrerebbe proprio a breve, lasciandole le questione dei morti, mentre i vivi si occupano un po’ più dei vivi?!

Daniela

il fatto è che tutti sanno che dio non esiste, compresi loro, ma sono furbi e cattivi e usano l’dea di dio per rimbecillire le persone, e per imporre le loro bislacche e pericolose idee agli altri.

Mirko Pace

non si tratta di suicidio. si tratterebbe di sospensione di trattamento futile quindi di accanimento terapeutico. (mi sono dato l’altro ieri l’esame di bioetica!), quindi non c’è niente che impedisca al medico di staccare il respiratore. potrebbe partire una causa legaòe, ma se ha dalla sua parte i parenti difficilmente sarebbe condannato, basterebbe presentare come difesa il cosiddetto concetto di futilità “difensiva”. il problema è che in Italia c’è un vuoto legislativo in questa materia. sarebbe bene ricordare che anche la Chiesa è contro l’accanimento terapeutico (è scritto nel Catechismo), e che ha accordato a un prete la sospensione della dialisi: sospendere la dialisi significa morte certa, ma secondo la chiesa e una scuola di pensiero bioetico non si tratta di eutanasia, per il principio del duplice effetto: tu sospendi un trattamento perché questo è inutile e porta solo sofferenza al paziente, la morte è un effetto – non è nè il fine dell’azione (che è l’alleviamento dalla sofferenza) nè il mezzo (che è l’interruzione del trattamento) – indiretto, non voluto ma tollerato.

Damiano

@Mirko:

quindi non c’è niente che impedisca al medico di staccare il respiratore.

.. a parte i carabinieri evidentemente…

sarebbe bene ricordare che anche la Chiesa è contro l’accanimento terapeutico (è scritto nel Catechismo),

ah si? ma allora come lo si spiega il caso Welby? Se la chiesa non è contraria alla sospensione della terapia, come mai poi ha rifiutato i funerali per motivi ideologici?

e che ha accordato a un prete la sospensione della dialisi: sospendere la dialisi significa morte certa, ma

Allora è evidente che la chiesa si arroga il diritto di decidere caso per caso … ma in base a quale autorità? in che senso la chiesa ha “accordato” la sospensione della cura? Spetta alla chiesa decidere per un adulto consapevole?

secondo la chiesa e una scuola di pensiero bioetico non si tratta di eutanasia, per il principio del duplice effetto: tu sospendi un trattamento perché questo è inutile e porta solo sofferenza al paziente, la morte è un effetto – non è nè il fine dell’azione (che è l’alleviamento dalla sofferenza) nè il mezzo (che è l’interruzione del trattamento) – indiretto, non voluto ma tollerato.

Guarda che la cosa si può benissimo girare che il risultato non cambia: tu dici che la morte è un effetto “collaterale” per il raggiungimento del fine (termine della sofferenza), io dico che la morte è il fine che ha, per effetto collaterale, il termine della sofferenza. Nel momento in cui vivere = soffrire la distinzione diventa irrilevante.
Il fatto di considerare la morte come fine o la sofferenza come fine è una questione soggettiva (di chi soffre), discutere di questo significa fare un processo alle intenzioni: il diritto di sospensione della cura è incondizionato.

Mirko Pace

Caro Damiano, io ho solo riportato le argomentazioni di certi autori. Io sono molto critico riguardo il principio del duplice effetto (che mi sa tanto di scappatoia morale per giustificare la sospensione del trattamento tenendo lontano lo “spettro” dell’eutanasia).
Che un prete riconosca l’autorità morale della Chiesa, e che nel dubbio abbia chiesto un parere non mi scandalizza affatto.
Che la Chiesa rifiuti un funerale nemmeno, sai che bell’affare: essere cattolico significa riconoscere l’infallibilità del papa, quindi sottostare a tutto quello che esce dalla sua rugosa bocca.
Al prete sì e a Welby no, perché? Volendo cercare una spiegazione, potremmo dire che il caso del prete fu un episodio privato di cui pochi sono a conoscenza, mentre il caso Welby è stato un vero e proprio caso politico nazionale, e la Chiesa per paura che una concessione del genere avesse potuto aprire la porta a una legge sull’eutanasia attiva (secondo la teoria del “pendio scivoloso”, per cui appena dai la mano si prendono tutto il braccio) ha preferito schierarsi contro, pur commettendo una palese incoerenza.
Attenzione: voglio precisare che io sono il primo critico della chiesa, sono ateo e sbattezzato (è un po’ deprimente mostrare la carta d’identità).
Secondo me comunque il problema non è la Chiesa, ma la nostra classe politica che è sempre inclinata a 90° per ricevere gli ordini del Vaticano.
Per quello che tu dici sui fini e mezzi, mi dispiace ma ti devo contraddire: la morte può essere sì il fine, ma il termine della sofferenza non può essere certo un effetto collaterale: infatti è un effetto buono.
Sull’eutanasia la mia posizione è radicalmente liberale: se un uomo ritiene la propria vita indegna di essere vissuta ha il diritto, dopo un adeguato consulto medico (che non ha certo lo scopo di fargli cambiare idea, ma di dargli un quadro preciso della situazione), di ricevere un iniezione letale se non può provvedere da solo, o il kit per il suicidio assistito. E aggiungo: in caso di autosufficienza se un uomo non vuole passare da solo questo ultimo momento drammatico della propria vita, ha il diritto ad avere un adeguata compagnia.

Damiano

Al prete sì e a Welby no, perché? Volendo cercare una spiegazione, potremmo dire che il caso del prete fu un episodio privato di cui pochi sono a conoscenza, mentre il caso Welby è stato un vero e proprio caso politico nazionale, e la Chiesa per paura che una concessione del genere avesse potuto aprire la porta a una legge sull’eutanasia attiva (secondo la teoria del “pendio scivoloso”, per cui appena dai la mano si prendono tutto il braccio) ha preferito schierarsi contro, pur commettendo una palese incoerenza.

Insomma si può fare purchè non si sappia o non se ne parli.

Attenzione: voglio precisare che io sono il primo critico della chiesa, sono ateo e sbattezzato (è un po’ deprimente mostrare la carta d’identità).

Si capiva… la precisazione non era necessaria.

Secondo me comunque il problema non è la Chiesa, ma la nostra classe politica che è sempre inclinata a 90° per ricevere gli ordini del Vaticano.

Concordo…

Per quello che tu dici sui fini e mezzi, mi dispiace ma ti devo contraddire: la morte può essere sì il fine, ma il termine della sofferenza non può essere certo un effetto collaterale: infatti è un effetto buono.

collaterale non è sinonimo di “cattivo” ma di “secondario”, “marginale”.

Sull’eutanasia siamo d’accordo (essendo liberali entrambi).

Mirko Pace

Un’ultima cosa, mi dispiace contraddirti di nuovo, ma è per precisione: nella teoria del duplice effetto il termine “collaterale” è utilizzato per indicare un effetto secondario, non voluto ma tollerato, esso deve essere negativo, perché se non è negativo non abbiamo bisogno della cervellotica teoria per giustificare la nostra azione. Questo effetto “collaterale” deve essere in una certa proporzione con l’effetto che invece noi vogliamo (il fine): diciamo che il fine deve essere molto più importante dell’effetto indiretto (si chiama anche così): se prendo una pillola per curare il mal di testa, e sono incinta, e ha come controindicazione l’aborto, e io non voglio abortire, allora il principio del duplice effetto non potrà intervenire a pulirmi la coscienza, poiché l’effetto indiretto (aborto) è molto più grave dell’effetto cercato (cura del mal di testa). Invece nel caso di un malato terminale, che chiede di essere sedato per placare la propria sofferenza, e a cui va somministrata una dose sempre più massiccia di morfina, la morte che potrà sopraggiungere sarà effetto indiretto, poiché in questo caso la cura della sofferenza è più importante dell’eventuale morte; condizioni per cui sia valido il principio sono: il medico non deve volere la morte né come fine né come mezzo (essa deve sopraggiungere come effetto collaterale) e il paziente sia correttamente informato. Comunque, ti ripeto, io non condivido affatto questa teoria.

Damiano

Comunque, ti ripeto, io non condivido affatto questa teoria.

Manco io, rimango dell’idea che la distinzione primario/secondario e del tutto soggettiva.

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