La prima domanda è: quanto si guadagna? E la fanno maschi e femmine, senza distinzione. La seconda però già fa la differenza: “Secondo lei io posso fare il fisico teorico?”. Le ragazze chiedono se sono all’altezza, se hanno la capacità, se lo meritano. I ragazzi, nella maggior parte dei casi, non si pongono il problema e ci provano comunque. L’approccio al mestiere di ricercatore si presenta come una questione di genere; è una specie di vocazione nell’immaginario femminile, una scelta professionale (né più né meno) per i ragazzi.
A rendere questa visione di disparità è un’indagine che ha interessato 43 scuole italiane. Nell’ambito del progetto ‘Diva’, Science in a Different Voice, nato per sensibilizzare i giovani alle carriere scientifiche, Rossella Palomba demografa dell’Istituto per le ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr e Ambasciatrice europea per le pari opportunità nella scienza, ha incontrato circa 2.000 studenti negli ultimi due anni. E ha rivolto loro questionari aperti sul mondo della scienza e della ricerca.
Se per le ragazze ricerca vuol dire soprattutto libertà (18 per cento), per i ragazzi è gusto della scoperta (24 per cento). Inoltre, se il 33 per cento degli studenti maschi pensa che fare ricerca sia una questione di ‘passione’, le ragazze ci aggiungono anche una buona dose di divertimento (54%). E forse anche per questo il 70 per cento delle studentesse apprezza del mestiere la possibilità di viaggiare. Per entrambi i sessi poi, la fantasia è una qualità necessaria a un buon ricercatore: ne è convinto il 58 per cento delle studentesse e il 33 per cento dei ragazzi intervistati; inoltre sono le donne (43 per cento), più degli uomini (24 per cento), a ritenere utile la collaborazione per ottenere risultati in campo scientifico. Ma il dato che su tutti evidenzia la differenza dell’approccio è quello secondo cui solo il 18 per cento delle studentesse è convinto che le donne siano portate per la ricerca, perché in possesso di una mentalità flessibile e abituate a fare più cose contemporaneamente.
“Di fronte a questa insicurezza come ambasciatrice ho cercato in tutti i modi di incoraggiare le ragazze e di accrescere la loro autostima – racconta Rossella Palomba – elencavo loro una serie di qualità importanti: fantasia, creatività, modestia, e poi chiedevo a ognuna: tu ce le hai? Quasi sempre la risposta era affermativa e allora dicevo che poteva sicuramente fare la ricercatrice”.
Ma le donne che vogliono fare ricerca devono conoscere anche la regola dei tre metalli. “È una regola fondamentale: salute di ferro, nervi di acciaio, marito d’oro. E alle studentesse ho sempre precisato di stare attente – dice la demografa – perché il marito di piombo non fa per noi…” […]
Ricerca, troppe ragazze rinunciano
18 commenti
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Credo che sia più alta la percentuale di donne iscritte a ingegneria che a fisica. Scelta puramente pragmatica: l’ingegnere ha più chance di guadagnare 🙂
Oggigiorno il vero problema della ricerca sta paradossalmente da un’altra parte. Il sintomo che c’è qualcosa che non va non è dato dal fatto che ci sono poche ricercatrici… Ma dal fatto che ce ne sono molte!
Parlo ovviamente per esperienza personale (sono ricercatore in fisica) e potrei sbagliarmi. La mia impressione è che ragazze/donne che lavorano in qualche modo nel mondo della ricerca siano veramente tante e spesso addirittura in maggior numero rispetto ai colleghi maschietti.
Ma guardando un po’ più da vicino si capisce subito cose c’è che non va. Come sono pagate queste ricercatrici? Che contratti hanno? E’ facile verificare che la stragrande maggioranza ha allucinanti contatti co.co.pro., borse di studio, assegni e contratti di ricerca ridicoli, ecc… La maggior parte di esse non si potrebbe nemmeno definire “autosufficiente”. Insomma il “mestiere” del ricercatore è oggigiorno quanto di più insignificante e avvilente (dal punto di vista economico e sociale) che ci possa essere.
La mia conclusione su queste osservazioni è la seguente. Il fatto che il numero di ragazze nella ricerca sia aumentato enormemente non è un indice di un’accresciuta emancipazione femminile. E’ piuttosto indice del contrario e soprattutto di una svalutazione della ricerca Italiana, che negli ultimi anni è diventata irreversibile.
I maschietti laureati se ne fuggono dall’università in speranza di lidi migliori…
ma non lo so, ti posso dire che ad ingegneria la ricerca la fanno sia donne che uomini, ma poichè le donne in percentuale, sono nettamente inferiori, nel mio corso di ingegneria meccanica eravamo 5 ragazze su 300 studenti, è logico che poi le proporzioni sono a sfavore delle donne, secondo me c’è un problema di numeri a monte.
x Daniela:
A fisica la percentuale è di circa il 50%. Questo vale per tre Università dove ho lavorato. In biologia dove ho lavorato per un anno… beh le ragazze neo-ricercatrici erano la stragrande maggioranza. Penso che in altre discipline non prettamente scientifiche (lettere, ecc…) , ma dove comunque esiste la figura del “ricercatore” , la percentuale sia ancora a vantaggio delle ragazze. Credo sinceramente che l’assenza di ragazze nel mondo della ricerca sia oggigiorno un luogo comune con pochi fondamenti.
Ovviamente sto solo parlando delle nuove leve. Se si sale con l’età la percentuale dei maschi aumenta inesorabilmente. Questo ad indicare che l’aumento del “personale” femminile è un fenomeno recente. Questo fenomeno si accompagna putroppo però ad una svalutazione completa delle tipologie di contratto da ricercatore disponibili nelle università. La mia ipotesi è che le due cose siano correlate.
Non capisco cosa c’entri la salute di ferro. Un sacco di scienziati storici erano fisicamente malmessi. Schwarzschild morì di una rara malattia metabolica a 43 anni eppure fu un grandissimo fisico teorico. Stephen Hawking ha la sclerosi laterale amiotrofica da decenni.
O vale solo per le donne? E Perché?
Parli di ricercatrici o studentesse? Non mi meraviglierei del 50% di ricercatrici, ma del 50% di studentesse sì!
x Ernesto,
perchè gli stipendi sono da fame e non c’è una minima assicurazione sanitaria;)
x Jean Meslier:
parlavo di “ricercatori” anche in senso lato: ricercatori a termine, dottorandi e post-doc. Comunque da quanto ho visto anche la percentuale tra laureandi/laureande non è molto diversa.
La regola dei tre metalli: salute di ferro, nervi di acciaio, marito metallaro.
Da me in biologia le studentesse sono più degli studenti.
La regola dei tre metalli non la capisco tanto bene neanche io…
Io mi sto laureando in veterinaria e in questa facolà le donne sono in numero largamente superiore ai maschietti ma anche qui la ricerca è fatta, in proporzione, più dai ragazzi.
La scelta o meno di fare un dottorato o entrare nel mondo della ricerca penso anch’io sia legato alle prospettive di lavoro, al contratto e a quanto si guadagna.
In Italia il ricercatore è considerato meno di zero.Se entri nel mondo del lavoro dicendo che hai fatto un dottorato di tre anni ti guardano come uno che ha bighellonato per tre anni della sua vita!
Lo sappiamo tutti poi, che un ricercatore con un contratto a tempo determinato e pagato due lire lavora più del professore, e, se è una donna, secondo voi, può correre “il rischio” di rimanere incinta?!
Il problema e’ solo culturale.
Secondo me, in Italia la donna viene ancora allevata per essere un animale da figli dall’80% delle persone (padri e madri, nonni e nonne).
Una volta inquadrata bene, la bestiolina poi difficilmente riesce a rendersi conto di avere il paraocchi.
Siamo a livelli Africani, signori (e signore)… serve a qualcosa ormai ripeterlo ?
Grazie agli “insider” che commentano… 🙂
Penso che, come evidenziato dall’articolo, l’ostacolo maggiore alla parità sia nella scarsa sicurezza in sé in cui vengono ancora allevate la maggioranza delle ragazze: “devo essere abbastanza carina/intelligente/sexy/perbene/ma non troppo perché gli altri mi considerino”. E in questo la sovraesposizione di tette e culi ha un suo peso, diamine.
Poi, è anche questione di tempo e di numeri. Persino i Wiener Philarmoniker si sono dovuti prendere un’arpista donna, alla fine.
Infine: “salute di ferro”, spero non troppo. Certo, ci sono i casi famosi di Hawking e altri. Ma – (anche perché i nervi d’acciaio te li fai, e un* compagn* d’oro – ci son pure le lesbiche – lo trovi: ma la salute non te la dai).
Le nostre università sono il regno delle raccomandazioni, ei neepotismi, dei baronaggi, della corruzione, della prostituzione fisica e mentale.
La ricerca ss fonda oggi sul principio di cooptazione, un pò come nella cheisa cattolica.
concordo con che dice che sia un problema strettamente culturale, anch’io più o meno inconsciamente mi faccio queste domande, questo vale non solo nel campo della ricerca ma anche in quello imprenditoriale e del lavoro in generale.
“È una regola fondamentale: salute di ferro, nervi di acciaio, marito d’oro. E alle studentesse ho sempre precisato di stare attente – dice la demografa – perché il marito di piombo non fa per noi…”
Cosà?? Sciochezze…
@Jean Meslier:
a Torino a Fisica le studentesse sono poco meno del 50%, la percentuale al politecnico, architettura ESCLUSA, e’ molto minore.
Aggiungo che, in Astrofisica, negli ultimi 10 anni si e’ raggiunta la QUASI parita’ dei sessi (a livello di “personale”, sulle disparita’ di trattamento per esempio nelle progressioni accademiche lascio parlare, anzi bestemmiare, qualche donna).
Per il resto, trovo che l’articolo sia facilone, qualunquista e sessista (specie nella battuta finale sul marito di piombo… come se – oltre tutto – non fosse necessario anche per un maschio avere una compagna comprensiva, merce peraltro estremamente difficile da reperire, al pari direi del “marito d’oro”). Personalmente tutte ‘ste differenze di atteggiamento io non le trovo; c’e’ molta piu’ differenza da persona a persona che non da femmina a maschio. Sarebbe ora di finirla con ‘ste ..zzate.
@Steve:
Mi spiace, ma questo e’ un luogo comune, o per lo meno non e’ vero nel mio campo.
Quanto alla “cooptazione”, in realta’ avviene abbastanza spesso, ma su base meritocratica, nel senso che se hai uno/a studente/ssa bravo/a che si e’ mostrato brillante durante i vari dottorati e postdoc, cerchi di tenerlo, dargli un posto, perche’ lo merita e per far crescere il tuo gruppo di ricerca.
Faccio notare che cio’ e’ vero in tutto il mondo, non solo in Italia (parlo sempre del mio campo). Nessuno prende la gente “alla cieca” *solo* sulla base del curriculum. Questo e’ un altro luogo comune.
Quanto ai tentativi di “quantificare” la “produttivita” scientifica in maniera “oggettiva”, a mio avviso hanno prodotto una quantita’ infinita di danni, ma il discorso sarebbe troppo lungo.
Si potrebbero distrarre i fondi destinati ai nuovi insegnanti di religione per pagare meglio i ricercatori, donne e uomini 🙂