Richarlyson, un gol all’omofobia

Non è un coming out va bene, ma trovare un calciatore che parli pubblicamente dell’omosessualità nel calcio è comunque merce rara. In Inghilterra l’ha fatto qualche mese fa il portiere del Portsmouth, David James, ex numero uno della nazionale inglese, intervenendo nel blog sportivo del Guardian e invitando colleghi e compagni a uscire allo scoperto senza paura per sfatare il tabù più bigotto del football. James ha sfilato per Armani, dipinge quadri, ha impegnato la Premier League in progetti ambientalisti ma non è gay. Come non lo è Richarlyson Barbosa Felisbino, ala brasiliana del San Paolo che domenica ha rilasciato un’intervista a uno dei programmi più popolari di Tv Globo, Fantastico, prendendo di petto le voci e le polemiche che da settimane circondano il suo nome. «Non sono omosessuale – ha spiegato il giocatore – ma se lo fossi lo direi, non sarebbe un problema né per me né per la mia famiglia. Le persone possono e devono vivere in modo da essere felici, anche i calciatori». Venticinque anni, studente universitario nonché centrocampista di razza e temperamento col vizietto del gol (già 6 quest’anno nel Brasilerao), Richarlyson si è presentato al pubblico per chiarire una storia che lo vede protagonista, suo malgrado, dalla fine di giugno.
Tutto parte da un articoletto del quotidiano Agora che all’inizio dell’estate fa sapere di un giocatore di primo piano del campionato brasiliano pronto a svelare la propria omosessualità di fronte ai microfoni (quelli, appunto, di Fantastico). Uno scoop mondiale, considerato che il solo precedente è quello dell’inglese Justin Fashanu, primo e unico calciatore gay dichiarato, suicidatosi nel ’98 perché accusato di aver fatto sesso con un minorenne negli Stati uniti.
Il giorno dopo, durante un altro show televisivo (Debate Bola), il giornalista Milton Neves chiede al manager del Palmeiras, José Cyrillo Junior, se la annunciata confessione riguardi qualcuno della sua squadra. «No per carità – è la risposta del dirigente – ma Richarlyson l’avevamo quasi preso, il San paolo ce l’ha soffiato». Il maldestro outing di Cyrillo scatena la bufera in una città che poche settimane prima, per il Gay Pride, ha portato in strada due milioni e mezzo di persone ma che è divisa dalla rivalità storica tra le due squadre locali. Richarlyson nega tutto, la mamma assicura che il suo ragazzo «non ha di questi problemi», il padre Lela (ex giocatore del Coritiba) accusa il Palmeiras di giocare sporco. Su Youtube comincia a circolare un video nel quale il numero 23 del San Paolo festeggia un gol danzando e sculettando con i compagni. Richarlyson mette allora la faccenda nelle mani del suo avvocato che denuncia Cyrillo per calunnia e discriminazione sessuale.
Complice il successo del Brasile in Coppa America, la storia finisce momentaneamente nell’ombra. Poi riesplode improvvisa all’inizio di agosto quando un giudice di San Paolo, Manoel Maximiliano Junqueia Filho, archivia il caso d’ufficio annunciando che il calcio è un gioco macho e virile, mica roba per finocchi. «Per i brasiliani – scrive il magistrato in quattro paginette allucinanti – è impossibile pensare che fuoriclasse del passato come Pelè fossero gay. Se un omosessuale vuole giocare a pallone, può farlo ma solo con i suoi simili, mettendo in piedi un’altra Federazione. Ognuno deve stare al suo posto, ogni scimmia sul suo ramo, ogni gallo nel suo pollaio».
A quel punto la questione esce dal rettangolo di gioco definitivamente. L’avvocato di Richarlyson denuncia il giudice al Consiglio nazionale di giustizia per omofobia. Intervengono tutte le associazioni omo e lesbo del paese. Raul Plassman, segretario dello sport del comune di Curitiba, ex portiere di Cruzeiro e Flamengo negli anni ’80, soprannominato Wanderléia dai suoi stessi tifosi, bacchetta duramente il giudice omofobico: «E’ folle pensare che non si possa giocare tra i professionisti per colpa dei propri orientamenti sessuali».
Richarlyson resta a lungo in silenzio, continua a giocare come niente fosse, si prende qualche cartellino giallo più del solito e alla fine decide di parlare. Prima lo fa alla radio Jovem Pan. «Le persone dovrebbero farsi gli affari loro ma io sono tranquillo e determinato. E’ ora di dire basta ai pregiudizi sull’omosessualità, andremo fino in fondo a questa storia affinché altri non debbano soffrire quello che è capitato a me». Poi domenica, camicetta viola e viso serioso, va in tv a cantarle al giudice in prima serata. «Quella sentenza manca di rispetto non solo a me ma a tutto il Brasile. Mio padre quando giocava è stato discriminato per il colore della pelle, per lui non cambierebbe niente se io fossi gay. Ma non lo sono e voglio essere giudicato solo per quello che faccio sul campo di gioco non per le invenzioni di qualcuno». Del giudice Junqueira non si hanno notizie: pare stia scrivendo la sua memoria difensiva, qualcuno gli ha già consigliato di chiedere asilo a Treviso.

Fonte: ilManifesto.it 

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2 commenti

luigi

ancora tantissima omofobia, discriminazione,paura del “diverso Ma la diversita e normalita, il pregiudizio,l omofobia NO.

lik

Mah, Vikash Dhorasoo (che tra l’altro è di origine indù) si è pubblicamente impegnato da anni nella lotta contro l’omofobia.

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