La Chiesa nemica di se stessa

L’estate dei preti pedofili. Pedofili e santi. Forse così sarà ricordata l’estate del 2007. Corriamo il rischio che, di qui a cent’anni, quando gli storici si volteranno indietro a studiare la stagione che stiamo vivendo, vi individueranno l’origine di una trasformazione sconvolgente in seno alla Chiesa cattolica, il momento in cui la perversione sessuale cominciò a essere rivendicata quale privilegio ecclesiastico, l’abuso sull’infanzia e ogni altra manifestazione di sessualità patologica cominciarono a essere ritenute il normale contraltare della vocazione religiosa e la Chiesa tutta cominciò a essere percepita da gran parte della popolazione come un luogo separato dalla società, sottratto alle leggi e alle norme che governano la normale convivenza civile, un luogo al tempo stesso superiore e inferiore ad essa.

La Chiesa come arca di vizi demoniaci e angeliche virtù, che prende il largo in un mare sacro, per una navigazione terribile ma forse salvifica, su rotte comunque remote rispetto alla terra sottoposta alla legge degli uomini, quegli uomini che affannosamente la calcano, giorno dopo giorno, portando il loro fardello di piccole speranze e piccoli peccati. L’estate 2007 verrà forse ricordata come l’inizio di una regressione verso un passato arcano, al tempo stesso splendido e oscuro, verso un medioevo di grandi peccatori e grandi cattedrali.

Probabilmente questa rimarrà soltanto una fantasia ferragostana, suggerita dalla canicola e dai pasti abbondanti, ma è suggerita anche dai fatti delle ultime settimane e, soprattutto, da alcuni autorevoli commenti che li hanno accompagnati. Sabato scorso, sulle colonne di questo giornale, Vittorio Messori, uno dei più colti e stimati intellettuali cattolici, coautore di ben due papi (ha scritto libri a quattro mani sia con Benedetto XVI sia con Giovanni Paolo II), in una sconcertante intervista, ha dichiarato di non trovare nulla di scandaloso in un uomo di Chiesa che ogni tanto «tocchi qualche ragazzo» se poi «ne salva a migliaia». Dopo aver ricordato che molti santi e beati della Chiesa erano psicopatici vittime di gravi turbe della sessualità, Messori si è spinto fino a dichiarare che la pedofilia – forse il più odioso tra tutti i crimini, stando al senso comune – sarebbe, secondo un certo «realismo della Chiesa», nient’altro che «un’ipocrita invenzione». Poiché la linea di demarcazione tra l’adulto e il bambino sarebbe sempre in qualche misura convenzionale, non ci sarebbe nessuna sostanziale differenza tra un rapporto omosessuale consensuale tra due adulti e gli abusi di un adulto su di un bambino.

L’aberrante argomentazione di Messori – che io sinceramente mi auguro di aver frainteso – mira a scagionare preventivamente un prete come don Gelmini dalle accuse di molestie sessuali. Non con il dichiararlo innocente, ma con il ritenerlo esente dalla legge penale e morale, anche se colpevole. La sua presunta «santità» lo collocherebbe in uno stato d’eccezione sottratto alla giurisdizione umana. Sebbene sconcertante, questa proposta da Messori è una concezione molto radicata nella tradizione cristiano-cattolica e, più in generale, nell’antropologia del sacro: il prete, in quanto ministro del culto di Dio, proprio perché più vicino degli altri uomini al principio divino, sarebbe più prossimo anche a quello diabolico. Il sacerdote, in quanto iniziato alle pratiche sacre, sarebbe una sorta di maneggiatore di potenti veleni, capaci di portentose guarigioni ma anche di micidiali tentazioni. In ogni caso, l’esperienza religiosa, in quanto strettamente legata all’ordine soprannaturale, si separerebbe da quello naturale (sacro, etimologicamente, significa «separato»). L’uomo di Chiesa, nella misura in cui prende a modello il santo, non sarebbe più un uomo in mezzo ad altri uomini, che si distingue da essi per una superiore moralità, ma un uomo che, aspirando alla santità, si ritiene al di sopra di ogni moralità. E, talora, perfino della legalità. […]

Il testo integrale dell’articolo di Antonio Scurati è stato pubblicato sul sito de La Stampa

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