«Adesso in paese c’ è puzza di miccia», bisbiglia per non farsi sentire in giro, il custode del camposanto, in contrada Flavia, dove stanno già preparando le tombe per Francesco Giorgi di 17 anni e suo zio Sebastiano. La miccia della Locride, dopo la strage dei calabresi a Duisburg, ha ripreso a bruciare e da due giorni polizia e carabinieri presidiano il paese 24 ore no stop. Nel cimitero nuovo di San Luca, oggi, riposano in 350: 20 sono morti di faida. C’ è anche la tomba di Maria Strangio, ammazzata a 33 anni il giorno di Natale dell’ anno scorso. È stata quella la morte orrenda che ha spalancato nuovamente l’ inferno tra le «famiglie». Le donne e i bambini la ‘ ndrangheta non li tocca. Quel giorno, dopo l’ omicidio di Maria, tutti rientrarono subito nelle case – racconta il parroco di San Luca, don Pino Strangio – e in paese si fece un silenzio assordante, proprio come due giorni fa, a Ferragosto, dopo la strage in Germania. Soltanto un uomo, un prete, decise a Natale di rompere quel silenzio e andò in giro per le strade di San Luca bussando alle porte della gente che piangeva. Si sentiva il rumore dei suoi passi. Era il vescovo di Locri, Giancarlo Bregantini, che anche stavolta, davanti a sei ragazzi trucidati fuori da una pizzeria tedesca, squarcia il muro dell’ omertà e pronuncia parole gravi: «Questa non è la ‘ ndrangheta, è molto di più, perché è una faida. Perché nella ‘ ndrangheta la razionalità ha uno spazio, questa invece è una storia di sentimenti. Ecco perché faccio un appello alle donne delle famiglie coinvolte. Perché sono le donne che hanno nel cuore o il perdono o la vendetta. E questa faida di San Luca è nel cuore delle donne. Sicuramente ci sarà una storia d’ interessi, ma ricordate che in più ci sono i cuori…». Ieri il vescovo ha fatto un appello alle donne delle famiglie in guerra di San Luca: gli Strangio e i Nirta contro i Pelle, i Giorgi, i Vottari e i Romeo. Un appello ad allontanare i sentimenti di vendetta, a non cadere nel precipizio. E una di loro, proprio la più colpita, la più straziata di tutte, Teresa Strangio, mamma di Francesco e sorella di Sebastiano, inaspettatamente l’ ha raccolto. La donna, devotissima alla Madonna della Montagna di Polsi, ieri mattina a don Strangio ha detto: «Preghiamo per la pace di questo nostro paese…». Le donne di San Luca: «Le donne dagli occhi di capra, alte e snelle come anfore greche», recita una poesia di qui. San Luca che ha 4.800 abitanti, 400 forestali impiegati sull’ Aspromonte, 200 laureati e mille disoccupati, gente che per lavorare se ne va in Germania (Monaco, Lipsia, Duisburg) e qualche volta ci muore pure. Chi riesce a tornare, poi, si porta dietro la macchina con la targa tedesca come fosse un trofeo e infatti tra le stradine strette del paese si contano a decine le Audi e le Golf con la lettera «D» appiccicata sul retro. Già, San Luca: «Case rustiche sulla schiena della montagna come nidi di creta», scriveva Corrado Alvaro (Gente in Aspromonte, 1930) che nacque in via Garibaldi e la sua casa ora è un museo. […]
Il testo integrale dell’articolo di Fabrizio Caccia è stato pubblicato sul sito de Il Corriere della Sera
Criminale!
@ paul
Ma chi ti credi di essere per offendere un’uomo che si cura dei più bisognosi? Con quale coraggio lo definisci criminale? Il fatto è che sei invidioso e pieno di pregiudizi anticlericali! Criminale sei tu… vergognati!
il fatto secondo me è che non si può pretendere che una donna perdoni facilmente chi le ha ucciso il marito o i figli. Cioè non è una cosa molto naturale
invidioso di cosa?? di un prete??!?!?!?!
il criminale era riferito al non troppo celato tentativo di attribuire colpe alle donne notoriamente considerate un pò diaboliche dalla chiesa…
hey e tu chi ti credi di essere per dare del criminale a me?? AH AH AH AH AH AH
ah, e SOPRATTUTTO PER L’AVER DETTO CHE NELLA ‘NDRANGHETA LA RAZIONAITA’ HA SPAZIO, COME DIRE SE AGISCONO COSì E’ PERCHE’ CI PENSANO…..
QUASI A SDOGANARLA….
non sparliamo dei preti in quanto tale, ma per favore non difendiamoli neanche in quanto tale…
Le donne hanno sì una grande responsabilità nelle questioni di mafia. Se si rifiutassero di sposare i mafiosi e di educare i figli secondo il codice mafioso, sarebbe un enorme passo in avanti.
La parità significa anche questo: non accettare in silenzio tutte le prepotenze del masculo,
e soprattutto non educare i propri figli, maschi e femmine, a continuare su questa strada.
Franca Viola, una donna che avrebbe molto da insegnare anche ora
Il 26 dicembre 1965, Franca Viola venne rapita, all’età di 17 anni da Filippo Melodia, suo spasimante sempre respinto, con l’aiuto di dodici suoi amici, e venne violentata e quindi nascosta e segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese, per essere liberata il 2 gennaio 1966.
Secondo la “morale” del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda, ossia non più vergine, o si faceva sposare dal suo rapitore, salvando l’onore sua e quello della sua famiglia, oppure sarebbe rimasta zitella ed additata come “donna svergognata”.
Questa “morale” era perfino supportata dalla legge italiana, il cui articolo 544 del codice penale, ammetteva il “matrimonio riparatore”, considerando la violenza sessuale come un oltraggio alla morale e non alla persona. Secondo questo articolo del codice, l’accusato di delitti di violenza carnale, anche su minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso di matrimonio con la persona offesa.
Contrariamente a quella che era la prassi usuale, Franca Viola non accetterà il matrimonio riparatore. Suo padre, contattato da emissari durante il rapimento, fingerà di acconsentire alle nozze, preparando con i carabinieri di Alcamo una trappola. Quando il rapitore rientrò in paese, con i suoi amici e la donna, i primi furono tutti arrestati dai carabinieri.
Subito dopo il fatto, tutta la famiglia Viola, che aveva contravvenuto alle regole di vita locale fu soggetta ad intimidazioni, il padre Bernando venne minacciato di morte con una pistola, la vigna rasa al suolo ed il casolare annesso bruciato.
Il caso sollevò immediatamente forti polemiche in Italia e fu oggetto di numerose interpellanze parlamentari. Durante il successivo processo la difesa tentò invano di screditare l’immagine della ragazza, sostenendo che avesse acconsentito alla “fuitina”, ossia una fuga d’amore per mettere il padre di lei di fronte al fatto compiuto ed avere il consenso per un matrimonio riparatore, come era localmente ancora in uso a quei tempi.
Filippo Melodia verrà condannato a 11 anni di carcere, ridotti a 10 e a anni di soggiorno obbligato nei pressi di Modena e pesanti condanne verranno inflitte dal tribunale di Trapani anche ai suoi complici; uscirà dal carcere nel 1976 e morirà di lupara il 13 aprile 1978.
Grandissimo anche il padre, Bernardo Viola, un semplice contadino che rimase al fianco di sua figlia nonostante le minacce e le rappresaglie.
le grandi menti vivono di intuizioni, grande Bernardo Viola