Parla Elio Boscaini, il prete comboniano che contesta la scelta di premiare Kagame

[…] Padre Elio Boscaini, che in passato ha anche diretto la rivista dei Comboniani, sulla scorta della sua lunga esperienza di missionario in Ruanda, Burundi, Togo, Ghana, Benin, firma la lettera pubblicata qui a fianco. E risponde al telefono dalla redazione. «Prodi, che è anche vicino ai comboniani, non doveva prestarsi. Le verità di Kagame andavano verificate meglio»

Cosa avrebbe dovuto fare il governo per informarsi?
Si poteva chiedere al giudice francese Jean Louis Brugière, che ha incriminato Kagame per le sue responsabilità nel genocidio del 1994, perché ce l’ha tanto con lui. Oppure chiedere al primo ministro deposto da Kagame, Faustin Twagiramungu, perché è stato costretto a fuggire in Belgio. O all’ex presidente Pasteur Bizimungu come e perché è stato incarcerato. Io ho fatto il cappellano nelle carceri africane, la gente non sa in quali condizioni vivono i detenuti. E non parlo di quando viene annunciata una visita di Amnesty per il giorno successivo… Non capisco niente di sistemi mondiali, ma della realtà concreta di tutti i giorni sì.

A Kagame invece cosa avrebbe chiesto?
Quanti morti ha sulla coscienza e quando pensa di restituire il potere al popolo… Non è possibile che il mondo gli creda solo perché rappresenta gli interessi Usa nella regione. Quello che dicono i tutsi bisogna dimostrarlo, un po’ come quello che dicono i sacerdoti. Ma le cifre sul genocidio sono folli: se fossero vere i tutsi dovrebbero essere quasi estinti. La verità è che Kagame ha imparato dal suo amico Museveni a spostare i mucchi di teschi da una parte all’altra.

Nessuno Tocchi Caino vi accusa esplicitamente di negazionismo. E per il ruolo svolto da alcuni religiosi nelle stragi qualcuno potrebbe pensar male…
Dio mi guardi dal voler negare, dico solo che ci sono anche migliaia di persone che si sono lasciate ammazzare per salvare un tutsi. Su Kagame, poi, i missionari comboniani hanno le prove. Figurarsi che quando era a Kampala scoprì che c’era una talpa in un battaglione, e per non correre rischi fece uccidere tutti e 200 i soldati che lo componevano. Quanto alle suore e ai preti coinvolti nel genocidio, sono uomini e donne come gli altri e se hanno sbagliato devono pagare. Ma in Ruanda c’era una situazione oggettiva che non lasciava scampo: non sono i preti ad aver creato la contrapposizione hutu-tutsi. Noi dobbiamo riconoscere il fallimento della nostra opera evangelizzatrice, in Africa abbiamo commesso grandi errori. Ma non può essere tutta colpa nostra.

Fonte: Manifesto

Caro Romano,
da buon comboniano sono rimasto scandalizzato nell’apprendere che conferirà al generale presidente del Rwanda, Paul Kagame, il premio «Abolizionista 2007», indetto dall’associazione Nessuno Tocchi Caino.
È vero che un cristiano deve credere anche alla conversione del… diavolo. Ma mi chiedo se è giusto che un primo ministro d’Italia doni la mano e premi uno di quei generali che, per la nostra esperienza missionaria, sono la causa e l’origine di quasi tutti i disastri dell’Africa in generale e della regione dei Grandi Laghi in particolare. Conoscete veramente Paul Kagame? Conoscete la sua carriera politica fin da quando (erano gli anni 80) era il responsabile dei servizi di sicurezza ugandesi del suo amico e ispiratore Youweri Museveni? L’Italia ci tiene così tanto a mostrarsi amica dei generali africani, che si sono issati al potere grazie ad un genocidio e determinati a rimanerci ad ogni costo? Mi piacerebbe una sua risposta anche privata, ma non diplomatica. Grazie.
Cordialmente dalla sua parte,
Padre Elio Boscaini

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3 commenti

Sandra

A chi avrebbe dovuto chiedere? Beh, la lista è lunga, da Amnesty International all’ultimo dei volontari, laici o religiosi che siano, loro le cose le sanno sempre di prima mano, illoro sapere è perfino gratuito, non si fanno pagare per studi o relazioni, loro parlano gratuitamente del proprio “pane quotidiano”. Io, lo ammetto, dell’Africa non so molto, a parte lo strazio che ogni immagine di documentari, reportages, TG e testimonianze di profughi ci raccontano, ma ho notato una certa “distrazione” italiana anche nell’allacciare nuove reti di rapporti con l’America Latina, della quale so senz’altro qualcosa. Che si tratti di petrolio, di gas o di altre “prelibatezze”, evidentemente fanno male allo stato di veglia.

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