E se fossi stato io?

Il drammatico errore dell’aborto al San Paolo di Milano ha spalancato le porte di un inferno tragicomico. Quello dei goffi e insensati paragoni con l’eugenetica: basta consultare un sussidiario per coglierne l’infondatezza. E quello di controfattuali esistenziali terrorizzanti: “e se avessero abortito me?”.
La prima e impietosa risposta consisterebbe nel rammentare che il malcapitato non starebbe qui a domandare. Più seriamente, bisognerebbe ricordare che le persone potenziali non godono ancora di quella caratteristica necessaria per interrogarsi ed interrogare: l’esistenza. La possibilità di interrompere una gravidanza riguarda proprio questo tipo di persone – ma le persone potenziali, appunto, non esistono ancora e la loro futura esistenza non basta a renderle persone attuali (qui ed ora). L’essenza delle persone potenziali è tanto fluttuante ed eterea da somigliare all’onirico.
“E se avessero abortito me?” non è una domanda sensata (nemmeno se al “me” segue una caratterizzazione emotivamente coinvolgente: “me disabile”, tanto per rimanere intorno al recente fatto di cronaca), dunque, e apre un percorso temporale a ritroso indefinito (perché le persone potenziali sono tali anche prima del concepimento). “E se il 3 settembre 1933 non avesse piovuto?” sarebbe una domanda equivalente – perché se non avesse piovuto una giovane donna (mia nonna) non si sarebbe riparata sotto a una tettoia ove un giovane uomo (mio nonno) aspettava il sereno, non avrebbero cominciato a parlare, non si sarebbero innamorati, non si sarebbero sposati, non sarebbe nata mia madre e così via.
Per concludere: abortire un feto affetto da una qualche patologia non implica non rispettare le persone disabili o attribuire loro meno valore. Essere per la libertà di scelta (compresa quella di abortire) non implica avere l’animo di Carl Claunberg o del suo più famoso compare, Joseph Mengele. Annientare queste differenze rende ogni discorso su quanto accaduto a Milano privo di senso.

Articolo di Chiara Lalli pubblicato sul blog Bioetica

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5 commenti

Daniela

questo articolo è troppo sensato, troppo per gente che fa dell’irrazionale la propria bandiera e la propria guida

Silesio

Credo comunque che il problema sia quello di stabilire il momento in cui l’individuo “inizia”. Finora abbiamo stabilito il momento in cui l’individuo “finisce” facendolo coincidere con il termine dell’attività neuronale. Quando “inizia” l’individuo? Se noi cerchiamo di andare a ritroso, l”individuo non inizierebbe mai. Infatti, se noi consideriamo la catena delle cause che hanno portato alla nostra esistenza, questa catena si perderebbe fino all’origine dell’universo. (La chiesa, dal suo punto di vista vieta l’uso del preservativo in quanto il preservativo in un certo senso già “uccide” l’individuo possibile. Con lo stesso fervore dovrebbe opporsi al costo esagerato degli affitti, visto che il costo troppo alto, poiché inibisce la formazione della famiglia e inibisce la copulazione produttiva, “uccide” l’individuo possibile. Però a questo non si oppone, anche perché anche la chiesa investe nel patrimonio immobiliare. Quindi coloro che aumentano gli affitti non vengono maledetti dalla chiesa come assassini dell’uomo.) Quindi è necessario che questo “inizio” sia posto sempre “convenzionalmente”. Se la fine della vita viene identificata con la cessazione dell’attività cerebrale, così anche l’inizio potrebbe essere identificato con l’inizio dell’attività cerebrale. Non risulta che un uovo fecondato abbia attività cerebrale.

Lady Godiva

I miei ricordi da embrione sono assai fumosi.

Anzi, confesso che non ne ho.
Forse sono ritardata mentale?

Il Filosofo Bottiglione

una volta mi hanno ricordato, con tono piccato, che anch’io sono stato embrione.
che posso farci… anch’io ho i miei difetti.

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