Caso Trotta: «Rimanga in Italia per essere curato»

Piange e ringrazia, Gerardo Trotta, sfinito dall’emozione e dal crollo di una tensione che durava da mesi: ieri c’era anche lui al Palazzo di Giustizia di Varese ad attendere che la commissione di medici incaricata di studiare il caso di suo figlio Antonio depositasse la perizia.
Ed è il primo a venirlo a sapere: secondo i medici «Antonio può, anzi, deve restare in Italia». Non solo: è auspicabile che i genitori se lo portino a casa, come chiedono da mesi, e gli assicurino così «una più costante e prolungata stimolazione di tipo psico-affettivo», l’unica davvero in grado di sortire effetti sulle persone in coma vigile, come si legge nelle 40 dettagliatissime pagine stilate dai tre esperti dopo mesi di analisi cliniche, esami, persino visite accurate alla casa che lo dovrà accogliere. Un primo importante passo che permette all’anziano padre di tirare un sospiro di sollievo, dopo due anni e mezzo di vero calvario: prima, l’11 maggio del 2005, l’incidente in Svizzera che ha ridotto in stato vegetativo persistente il suo ragazzo, poi i due anni di coma passati tra un ospedale e l’altro in terra elvetica, l’anno scorso la decisione di una Commissione etica del Canton Ticino di non offrire più a quel paziente «senza speranza» le cure del caso ritenendole un «accanimento terapeutico», nel dicembre del 2006 quindi il trasferimento pressoché clandestino in Italia, alla Fondazione Borghi, per salvargli la vita, e fino a ieri mattina dieci lunghi mesi di braccio di ferro con la ex moglie, tuttora residente a Lugano, che ancora insiste: «Antonio lo voglio in Svizzera». Nonostante lì, a causa della sospensione di ogni terapia riabilitativa, stesse ormai morendo.
Pericolo scampato, almeno per il momento, anche se la battaglia è ancora lunga. Ma per Gerardo, 63 anni, che i giorni scorsi aveva giocato l’ultima carta, quella della disperazione («Se me lo riportano a Lugano mi incateno a lui») è già una vittoria. […]

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7 commenti

Aldissimo

non capisco la posizione del padre: è come voler fare imbalsamare il figlio per poterlo avere sempre in un letto a casa propria.

Giol

Io invece non ho capito se ci sono speranze che il figlio possa risvegliarsi dallo stato vegetativo o se si sa già in partenza che è destinato a rimanere un vegetale per sempre.
Nel secondo caso, farei capire al padre che la persona che conosce cone “figlio” è già morta…

Francesco M.Palmieri

Questo è un motivo in più per arrivare al testamento biologico.

Poichè non abbiamo la volontà espressa del figlio, penso che il padre abbia ragione.

Purtroppo però, ne riparleri tra qualche mese o tra qualche anno, quando il padre, invecchiando, avrà problemi a prendersi cura del figlio, e soprattutto, dopo che lo avrà avuto sotto gli occhi, in quelle condizioni, giorno dopo giorno.

Lady Godiva

Nel dubbio, e senza testamento biologico, IMHO bisogna prendersi cura del paziente.

Kaworu

non capisco una cosa… l’ex moglie vuole in sostanza lasciarlo morire, il padre no.

beh l’ex moglie in quanto ex, non dovrebbe avere voce in capitolo.

il padre se vuole deve poterselo tenere come un ficus per quanto tempo vuole.

onestamente non capisco il problema.

tanto il ragazzo ormai è morto, nel senso che lui in quanto persona non esiste più. per cui se ai parenti fa piacere o conforto tenersi il simulacro, beh facciano.

è un po’ quel che penso per me. se non ci fossero speranze vorrei esser lasciata morire, ma se alla mia compagna o ai miei genitori sarà di conforto invece tenere in vita il mio simulacro, beh facciano pure, del resto non sarò lì ad impedirglielo.

Lady Godiva

Il problema è di tipo affettivo, Kaworu.
Sia moglie, sia marito sono genitori dello sfortunato ragazzo.
E gli vorrano ancora molto bene, immagino.
Entrambi con conclusioni differenti per la sua sorte.
Non mi pare un problema da poco.

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