Dov’è finito Mohsen Makhmalbaf, dove vive? Ha tagliato definitivamente i ponti con il suo paese? Perché se il film precedente Sesso e filosofia era ambientato in Tagikistan, questo Viaggio in India ha per protagonisti una coppia di iraniani improbabili. Capelli lunghi da ribelle, lui (Mahmoud Chokrollahi) si definisce comunista; di una bellezza ineffabile da miniatura, lei (Mahnour Shadzi) gira senza velo in testa e un certo punto svela il bel seno davanti all’obiettivo: per attori di Teheran sono ruoli da non poter rientrare in patria neppure se volessero.
Nella evocativa scena iniziale i due si stagliano esili nell’immensità di una plaga desertica – l’uomo in piedi con una videocamera a mano, la giovane donna su una sediolina portatile con un ombrellino a proteggerla dal sole. Scopriamo che stazionano lungo una rotaia in attesa di un treno che non si sa se arriverà. Sono in luna di miele, ma la scelta della meta non è legata a motivi turistico-sentimentali. In India sono venuti a cercare «l’uomo perfetto», ovvero colui che potrebbe gratificare l’esigenza di religiosità di lei; e scuotere lui dal suo pessimistico e laico raziocinio. Ma ognuno vede quel che vuol vedere: ciò che per Mahmoud è espressione di miseria e ingiustizia sociale, per Mahnour assume un significato mistico e spirituale. Sulla loro strada i due incontrano un santone capace di fermare un treno con lo sguardo, ma si tratta di un poveretto finito in ostaggio a una folla di mendicanti; mentre l’uomo perfetto è un pastore che scrive il suo messaggio di verità con inchiostro invisibile. A Benares, anziché trascorrere la notte con l’amata, Mahmoud si intrattiene con una prostituta e le regala tutti i soldi; e il film si conclude sulle rive del Gange fra roghi di cadaveri attestanti l’ultimo privilegio di casta immersioni purificatrici nelle acque del fiume.
Costruito in un’alternanza di momenti documentaristici di rara suggestione e scene di verboso dibattito filosofico, Viaggio in India sembra un film dei tempi dello Scià quando il cinema iraniano influenzato dalla Nouvelle Vague era intellettualistico e stilizzato. Allora Makhmalbaf era un giovanissimo dissidente condannato a quattro anni di carcere per aver dato un pugno a un poliziotto. Probabilmente somigliava, e somiglia, al protagonista; forse questo viaggio è un ricordo o una riflessione come se, deluso dalla piega nefasta presa dalla rivoluzione tanto agognata, Mohsen tornasse sulle tematiche e i dubbi del passato per ritrovare una fede nel presente.
Da Teheran al Gange in cerca dell’uomo perfetto
Un commento
Commenti chiusi.
L’uomo perfetto non esiste.E’ una costruzione gnostica.