Sono in migliaia, non hanno intenzione di fare marcia indietro, anzi, è una sollevazione popolare che conquista maggior favore col passare delle ore. Nuova giornata – la settima – di protesta in Myanmar, ex Birmania, contro la giunta militare al potere da 45 anni. Ieri, il colpo di scena con l’apparizione di Aung Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana e Nobel per la pace, ai domiciliari da dodici anni, che ha salutato i manifestanti dalla sua casa-prigione. Oggi, almeno 20 mila persone sono tornate in piazza a Yangon (ex Rangoon), una manifestazione guidata ancora una volta dai monaci buddhisti, motore della sollevazione. Nel Paese asiatico non si tengono più elezioni dal 1990, quando la Lnd – il partito della Suu Kyi – vinse in maniera schiacciante, e i vertici militari ripresero il potere con la forza annullando i risultati della consultazione.
Circa 5000 manifestanti si sono radunati nella Pagoda d’Oro di Shwedagon, il principale tempio del Paese, per pregare ed esprimere pacificamente il loro dissenso nei confronti del regime. Nel giro di un’ora, però, la folla è quadruplicata di numero, e la metà erano, appunto, monaci. Per la prima volta, poi, alle proteste si sono unite anche un centinaio di monache. Insieme ai religiosi, hanno preso la testa di un enorme corteo che si è riversato nelle vie del centro della vecchia capitale birmana, fino a raggiungere e circondare un altro importante luogo sacro, la Pagoda di Sule.
Altro avvenimento finora inedito dall’inizio delle marce contro il governo: i monaci hanno esplicitamente invitato gli abitanti a dare loro man forte. “Stiamo marciando per il popolo – cantavano in coro i religiosi, uomini e donne – vogliamo che il popolo venga con noi”. Una protesta innescata dall’improvviso rincaro dei prezzi dei carburanti, che hanno colpito indiscriminatamente la popolazione di uno degli Stati più poveri al mondo, tanto che molti non hanno più nemmeno la possibilità di prendere un autobus, il mezzo di trasporto più diffuso in città.
L’atmosfera, comunque, è calma, e le forze dell’ordine non accennano a intervenire. Un segno, questo, della cautela con cui il regime sta cercando di gestire una situazione sempre più difficile, con un approccio quindi ben diverso dalla sanguinosa repressione che stroncò la rivolta del 1998. Sempre oggi, nel frattempo, altri 500 monaci hanno inscenato un raduno di protesta a Mandalay, la seconda città del Myanmar, manifestando nel centrale quartiere di Payagyi.
Myanmar, la protesta continua, ora in piazza anche le monache
3 commenti
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In Italia, per vedere una marcia così imponente di preti, bisognerebbe cambiare le regole con le quali viene ripartito l’8×1000.
Ho visto quei monaci in TV, la loro dignitosa, coraggiosa, dolce fermezza. L’articolo racconta: “Stiamo marciando per il popolo – cantavano in coro i religiosi, uomini e donne – vogliamo che il popolo venga con noi”… accidenti, bella differenza con certi pretuncoli, di quelli che sostengono dittatori, mafiosi, semplici potenti locali od anche solo persone scadenti ma utili, certo, non tutti sono così, infatti, quelli che hanno fatto la Resistenza, sia in Italia, sia un Latinoamerica ed in ogni Paese sfigato del mondo, quelli che hanno combattuto sul serio Mafia & C., o sono sotto terra o girano sotto scorta. C’è da dire una cosa, sono diversi quei monaci, ma sono diversi anche quei cittadini! Auguri di una giusta vittoria.
Simpatiche queste monache!