Filosofia minima

Modena. «Festival filosofia».
Domenica, 16 settembre, ultimo giorno della manifestazione. Chiesa di San Carlo, limitrofa alla sede della Fondazione Collegio San Carlo cui si deve l’organizzazione scientifica del Festival. È di scena il biologo del Collège de France, Alain Prochiantz, che sta tenendo una Lezione magistrate su «L ‘uomo, la scimmia e la naturalizzazione della mente». A un certo punto, in un passaggio essenziale del suo ragionamento, afferma: «Sono consapevole del luogo in cui ci troviamo, ma come scienziato devo affermare con chiarezza che sono ateo, materialista e credo che non ci sia nulla dopo la morte». Un’affermazione non particolarmente eclatante, né poi così scandalosa. Neppure esaltante, però, di quelle che possano suscitare espressioni di giubilo. Eppure accade qualcosa di sorprendente. Al pronunciare, peraltro assai piano e per nulla enfatico, di quelle parole buona parte della platea scroscia in un fragoroso applauso. Strano no? Qualcuno ci espone una delle verità più scomode che ci potrebbero colpire, e che per tutto il tempo cerchiamo di dimenticare, o almeno di mettere tra parentesi, e noi che facciamo? Invece di rattristarci, ci mettiamo ad applaudire! Perché? Io credo che una spiegazione plausibile sia la seguente. Prochiantz ha pronunciato, nel suo discorso rigoroso sulla naturalizzazione della mente, molte parole chiare e schiettamente laiche. Io dubito persino che tutti quelli che hanno battuto le mani credessero davvero fino infondo che le cose stiano come lui ha detto. Magari c’erano persone semplicemente dubbiose, su posizioni assai più morbide, magari agnostiche, o che non hanno ancora risolto del tutto dentro di se questa spinosa questione. Il fatto è che anche loro hanno sentito in quella frase un senso di liberazione. Indipendentemente da come la si pensi sulle questioni religiose, quell’applauso esprimeva un profondo dissenso sul modo in cui ultimamente i rappresentati di un improbabile aldilà, latori di una assai dubbia idea della morale, si arrogano il diritto di dirci parole definitive sulla nostra vita e sulla nostra morte. Alzando le loro voci oltre i limiti ragionevoli per uno stato che voglia dirsi laico (come ci ha ricordato Jürgen Habermas a Roma, nei giorni precedenti), sono riusciti nel miracolo di perdere la presa persino su una delle credenze più radicate nei cuori degli uomini: quella che ci induce a sperare che non sia vero che tutto finisca li. Lo scriveva assai bene Giacomo Leopardi, nelle Operette Morali, nel suo «Dialogo di Tristano e di un amico»: «Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiataggini, non crederà mai né di non saper nulla, né di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare. Nessun filosofo che insegnasse l’una di queste tre cose, avrebbe fortuna né farebbe setta, specialmente nel popolo: perché, oltre che tutte tre sono poco a proposito di chi vuol vivere, le due prime offendono la superbia degli uomini, la terza, anzi ancora le altre due, vogliono coraggio e fortezza d’animo a essere credute». Non ho mai pensato, prima di quell’applauso, che Leopardi, su questo punto così profondo, potesse anche avere torto.

Articolo apparso su Il Sole-24 Ore – Supplemento Domenica – Scienza e filosofia, Domenica 23 settembre 2007 e pervenuto a ultimissime

Archiviato in: Generale

4 commenti

Jean Meslier

Porca miseria!

Proprio ieri che pensavo: “lo compro o non lo compro, lo compro o non lo compro il supplemento domenicale del Sole 24 Ore? Ma no… oggi non lo compro”

faidate

Forse l’applauso era per la dischiarazione esplicita “Sono ateo”. Senza se e ma.

Claudio

Ero presente , l’applauso , a cui mi sono prontamente unito , è partito alle parole sono ateo

Commenti chiusi.