Forse il governo militare della Birmania non immaginava che l’aumento del prezzo del carburante, annunciato a metà di agosto, avrebbe innescato la più grande rivolta di massa degli ultimi vent’anni. Eppure è così: con il carburante rincarato del 500% sono saliti alle stelle i prezzi degli alimentari, sono scoppiate proteste, alle manifestazioni qua e là hanno partecipato anche i monaci. Poi quando alcuni giovani bonzi sono stati feriti dalla polizia, ai primi di settembre, la protesta ha cambiato natura. «Le associazioni dei monaci hanno chiesto delle scuse. Al silenzio del governo le manifestazioni sono diventate sempre più numerose, decine e poi centinaia di migliaia di persone hanno cominciato a scendere per le strade, ogni giorno, in molte città: finché la giunta militare ha risposto con il coprifuoco e la repressione», spiega il signor U Bho La, portavoce del Governo della Birmania in esilio, raggiunto al telefono a Washington. Nel 1990, U Bho La era stato eletto deputato per la Lega nazionale per la democrazia, il partito guidato dalla signora Aung San Suu Kyi: poi, quando le elezioni furono annullate dai militari e centinaia di persone arrestate, lui, come molti altri, è stato costretto alla fuga.
U Bho La afferma che ci troviamo di fronte alla più grande protesta organizzata dal 1988, quando i militari spararono su un movimento di studenti, e sottolinea la parola «organizzata»: l’aumento dei prezzi ha fatto esplodere un movimento non estemporaneo.
Cosa chiedono i manifestanti?
I monaci hanno avanzato quattro richieste. Primo, le scuse del governo per aver ferito dei manifestanti. Poi, il rilascio di tutti i dimostranti e di tutti i prigionieri politici, compresa Aung San Suu Kyi. Poi ancora, chiedono che venga revocato l’aumento dei prezzi, insostenibile per la popolazione birmana. Infine, vogliono che il governo apra un dialogo nazionale con la leadership dell’opposizione.
Chi sono i protagonisti di questa protesta, che ruolo hanno i monaci e che ruolo ha la lega nazionale per la democrazia?
In Birmania ci sono circa 600mila monaci, raccolti in diverse associazioni, e quando hanno cominciato a manifestare nelle strade hanno invitato tutti a partecipare. Tenga conto che vent’anni di repressione hanno indebolito il nostro e gli altri partiti , la leadership è agli arresti o in esilio, la libertà di esprimersi e fare attività politiche è limitatissima. Quanto ai monaci, sono molto rispettati nella società birmana, che è all’85% buddista. Loro hanno preso la testa di una protesta pacifica. Inoltre c’è una nuova generazione di studenti che si è unita a loro, e in questi giorni li abbiamo visti nelle strade: i monaci sono diventati un catalizzatore del dissenso.
Circola la notizia che la signora Aung San Suu Kyi sia stata trasferita in carcere, dopo che sabato scorso i manifestanti sono andati fino a casa sua: può confermarlo?
E’ difficile confermare un arresto, in Birmania, i militari intimidiscono i familiari e non rilasciano informazioni. Sappiamo che Aung San Suu Kyi non è più in casa sua, ma ignoriamo dove si trovi.
Cosa vi aspettate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, e dall’intera «comunità internazionale»?
Speriamo che il Consiglio di sicurezza sappia mandare un messaggio chiaro alla giunta militare della Birmania. Oggi (ieri, ndr) abbiamo avuto notizia di un monaco ucciso insieme ad altri manifestanti, forse tre, e di 400 arresti. Ma i militari non si fermeranno senza una forte pressione internazionale. Che ruolo avrà la Cina? E’ il più grande dei vicini e ha una forte influenza sulla giunta militare birmana: se la Cina vorà collaborare con il Consiglio di sicurezza e dire con forza che la violenza non sarà condonata, allora forse i militari al potere a Rangoon dovranno tenerne conto. Ma se la Cina continua a non prendere posizione, sarà molto difficile che le pressioni abbiano effetto.
Cosa si aspetta che succeda nei prossimi giorni?
Se la comunità internazionale non sarà capace di intervenire, temo il peggio. Le associazioni di studenti e dei monaci hanno detto che continueranno la protesta, nonostante la repressione di oggi. E’ un momento critico: se le potenze mondiali non sapranno mettere un freno alla giunta militare, sarà un massacro.
Intervista al portavoce del governo della Birmania in esilio
3 commenti
Commenti chiusi.
Ah beh… mi sa che Grillo non ce l’avrebbe mai fatta.
Apriamo le scommesse?
Uno no. Ma seicentomila grilli si.
In pratica il doppio dei partecipanti al V day.