Sul caso D’Auria, in questi giorni su tutti i quotidiani [NDR: cfr. Ultimissima del 30 settembre], non voglio fare polemiche. Sono felice che si sia trovata la creativa soluzione del matrimonio “in articulo mortis” per assicurare una pensione alla compagna. Quello che mi umilia è il fatto che il nostro governo ha riconosciuto validità giuridica a una norma del codice canonico per ottenere quello che, in uno Stato di diritto basato sulla laicità, si dovrebbe ottenere attraverso una legge come quella dei Dico o simili, in vigore ormai in tutta Europa, che il governo continua a rimandare.
A me invece, compagna di fatto di Stefano Rolla ucciso a Nassiriya con i carabinieri dell’MSU, non sono bastati i sei anni di convivenza, non è bastato che ci fossero state pubblicazioni di matrimonio, rimandato poi per problemi contingenti, non è bastato che fossi in cura per avere un figlio e che ci fossero (e ci sono ancora) in una clinica di Roma cinque embrioni congelati che stavano per essermi impiantati, non sono bastati gli atti notori di convivenza a testimonianza della famiglia di Stefano, nelle persone dei fratelli.
Non è bastato tutto questo per fare di me una donna con un minimo di diritti, nemmeno quello di partecipare ai funerali. Perché io non ho diritto a niente? Avrò mai risposta a queste mie domande?
La lettera di Adele Parrillo è stata pubblicata oggi su Repubblica
So di non entrare nello specifico ma vorrei rispondere alle domande con le parole del papa B 16 proposte nell’articolo precendente:
“Il solo scopo della chiesa è servire l’uomo, ispirandosi come norma di suprema condotta alle parole e all’esempio di Gesù Cristo che passò beneficando e risanando tutti ”. La Chiesa Cattolica… “pertanto chiede di essere considerata per la sua specifica natura e di poter svolgere liberamente la sua peculiare missione per il bene non solo dei propri fedeli, ma di tutti gli italiani”.