Francia, spunta l’Islam di Stato

Da oggi, in concomitanza con la fine del mese sacro islamico del Ramadan, apre i battenti la Fondazione per le opere dell’Islam di Francia.
Sono passati due anni dalla sua istituzione, voluta dall’allora premier Dominique de Villepin e sostenuta dall’allora presidente della Repubblica Jacques Chirac, ma i lavori tardarono a partire per le polemiche che dividono tuttora la comunità musulmana francese a riguardo.Si parte, dopo due anni. Da quando è presidente Nicholas Sarkozy, però, lo spazio per le trattative è stato sacrificato sull’altare del decisionismo di Sarkò, e la Fondazione ha aperto i battenti. Ma di cosa si occuperà questo organismo? Il progetto è, allo stesso tempo, semplice e profondamente invasivo della vita dei musulmani francesi. La Fondazione, infatti, si occuperà di raccogliere i fondi destinati alla costruzione delle moschee, monitorando i flussi di denaro sia interni che provenienti dall’estero. L’ente finanzierà inoltre corsi di lingua, cultura e diritto francese.
Il progetto, nei due anni d’incubazione, avrebbe già raccolto un milione di euro, provenienti in massima parte da finanziatori francesi, come sostiene nell’edizione odierna il quotidiano le Figaro, desiderosi di intessere buone relazioni con il mondo musulmano e i paesi di provenienza degli immigrati. Nel consiglio d’amministrazione della Fondazione siederanno esponenti della Grande Moschea di Parigi, la Federazione dei musulmani di Francia, l’Unione delle organizzazioni islamiche in Francia e il Comitato di coordinamento dei musulmani turchi di Francia. Presidente dell’organismo sarà il rettore della Grande Moschea della capitale francese, Dalil Boubaker.

Comunità divisa. E qui casca l’asino, almeno per una parte dei cinque milioni di musulmani che vive in Francia. I critici dell’iniziativa si chiedono per quale motivo il presidente della Fondazione, e anche il direttore della stessa, debbano essere nominati (com’è accaduto) dal ministro degli Interni francese e non dai diretti interessati.
Il problema, emerso negli anni del dopo 11 settembre, è che secondo una ricerca svolta dal governo di Parigi solo il 25 percento dei 1200 imam che predicano in Francia conosce la lingua francese.
Il terrorismo internazionale e la rivolta delle banlieue di due anni fa hanno spinto le autorità francesi a entrare, in tutti i sensi, nelle moschee in Francia, per capire cosa viene predicato e per monitorare i flussi economici, in particolare quelli provenienti dall’estero.
De Villepin, all’epoca della presentazione dell’iniziativa, sottolineò come le autorità transalpine volessero agire così per sostenere l’Islam moderato e isolare quello fondamentalista.

Dialogo o controllo? La critica che viene mossa da tante associazioni islamiche, però, è che invece la misura non sia altro che un nuovo esempio dell’islamofobia che attraversa l’Occidente del XXI secolo. Non si capisce perchè, infatti, secondo i critici della Fondazione, non vengano prese le stesse misure per i luoghi di culto di altre religioni. La sensazione, però, è che l’aspetto più irritante per gli oppositori dell’iniziativa sia la nomina dei vertici della Fondazione da parte del ministero degli Interni, come se si trattasse di ordine pubblico. In realtà il modello, molto presto, potrebbe essere riprodotto in altri paesi dell’Unione europea, sempre più preoccupata di capire cosa viene detto nelle moschee. Modello non nuovo peraltro, essendo in vigore da anni in molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. E’ tradizione per i governi del Marocco, dell’Algeria, della Tunisia, della Giordania, dell’Egitto, dell’Arabia Saudita e tanti altri ancora, monitorare l’attività delle moschee.
In alcuni paesi, gli imam debbono consegnare in anticipo il testo del sermone del venerdì, in modo che venga passato al vaglio delle autorità, anche se comunque la predica viene registrata e ascoltata poi dai funzionari del governo. Arriveremo a questo anche in Europa? Al momento non è dato saperlo, ma c’è da scommettere che le polemiche sulla Fondazione in Francia non finiscono qui.

Articolo di Christian Elia pubblicato su Peace Reporter

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3 commenti

Steve

In realtà mi sembra un tentativo dello stato francese di controllare le ddonazioni verso i gruppi islamici, più che uno strumento degli imam per raccogliere fondi.

Insomma, mi pare violata la libertà religiosa e di organizzazione più che la laicità ddello stato.

Magar

Non è chiaro, cosa succederà a quegli imam che non vorranno avere a che fare con la Fondazione?

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